Il mio intervento al Senato sulla comunicazione del Presidente Conte in vista del consiglio Ue.
Il prossimo Consiglio dell’Unione Europea inaugurerà una nuova stagione delle istituzioni comunitarie dove l’Europa sarà chiamata a scelte fondamentali per il suo futuro, che è anche il nostro.
Oggi speravamo di iniziare a capire che ruolo l’Italia vuole (e può) giocare in questa stagione, ma così non è stato. Il governo e la maggioranza continuano a dire che vogliono cambiare l’Europa. Ma continuano a non dire “come” e, soprattutto, “con chi”.
A colpi di minibot o evitando la procedura d’infrazione (che non si evita dicendo che la vogliamo evitare, come ha fatto lei qui oggi, ma rinunciando a irrealizzabili promesse elettorali)? Trattando per individuare soluzioni comuni ai problemi comuni o prendendo scelte unilaterali per mero tornaconto elettorale di breve periodo? Alleandosi con chi vuole rafforzare il metodo comunitario, per esempio nella politica fiscale e in quella migratoria, o con chi vuole solo un’Europa intergovernativa?
Signor Presidente, glielo dico sinceramente, nel compitino europeista che ha recitato qui oggi ci sono anche molte cose condivisibili: sviluppo sostenibile, assicurazione contro la disoccupazione, politiche per la crescita, sicurezza digitale. Ma poi leggiamo tutti i giornali. E leggiamo il nuovo azionista di maggioranza della sua maggioranza dire cose incompatibili con quel compitino. E l’ex azionista di maggioranza dire ancora altre cose altrettanto incompatibili. Per cambiare l’Europa, allora, non servono compitini o liste della spesa: serve un mandato forte su una linea chiara, da spiegare agli italiani e ai nostri partner europei. E di questo mandato forte su una linea chiara oggi non abbiamo visto neanche l’ombra.
Gli eventi di questi giorni ci restituiscono una fotografia delle vostre contraddizioni. Draghi, come è avvenuto durante la Grande Recessione, aiuta e rafforza l’Europa. Trump attacca Draghi perché, al pari di Putin, vuole un’Europa debole (vuole un’Europa debole ma con un Euro forte: la coerenza non è il tratto distintivo dei sovranisti in nessuna sponda dell’Atlantico). L’Italia con chi sta, con Draghi o con Trump? E guardate: il merito della Banca centrale europea non è quello di inserirsi in una guerra commerciale governando il tasso di cambio. Il merito è quello di rafforzare l’Europa gestendo in maniera forte e chiara il proprio mandato sul target d’inflazione.
Lo stesso vale per la politica fiscale, oltre a quella monetaria. L’Europa (e anche l’Italia con il suo enorme debito pubblico) ha bisogno di un’unione fiscale per completare quella monetaria, di un bilancio comune finanziato anche con emissione di titoli europei, gestito col metodo comunitario e non con quello intergovernativo. Ma per arrivarci dobbiamo essere pronti a cedere qualcosa e ricostruire la fiducia con i paesi europei pronti a fare questo passo.
Neanche a noi piace una versione rigida e ideologica dell’austerità. Nella scorsa legislatura abbiamo provato a superare quella logica, su spinta del governo presieduto da Matteo Renzi, promuovendo clausole di flessibilità negoziata tra singoli paesi e Unione Europea. Anche in patria qualcuno rispolverò lo stereotipo dell’Italietta innamorata della spesa in disavanzo, ma quella battaglia per una maggiore flessibilità serviva a tutta l’Europa. E l’Italia non aveva niente di cui vergognarsi: prima di chiedere quelle clausole, il nostro Paese aveva iniziato uno sforzo di riforme strutturali, inanellato una sequenza record di avanzi primari e dimezzato le procedure d’infrazione. Quello era il metodo da seguire e che voi avete abbandonato.
Ma abbandonato per fare cosa? E con chi?
Gli alleati che vi siete scelti non vogliono avere niente a che spartire con voi. Il ministro Salvini può convincere il premier ungherese Orbán a farsi qualche selfie con lui lungo il muro che sta costruendo con tanto di filo spinato, rievocando spettri tristi e pericolosi che speravamo l’Europa si fosse lasciata alle spalle per sempre, ma non lo convincerà mai a farsi carico di una politica migratoria comune. I sovranisti dell’Est Europa sono stati chiari: ci interessano i fondi strutturali e le vostre fabbriche, ma non i problemi in comune che abbiamo. I sovranisti del Nord Europa sono stati altrettanto chiari: ci interessano i vostri consumatori, ma non intendiamo farci carico di un’Italia indebitata e stagnante.
Senza idee chiare e isolando l’Italia, l’Europa non potete cambiarla. Potete soltanto indebolirla. E con un’Europa più debole, nel nuovo scenario internazionale, gli italiani saranno quelli che pagheranno il prezzo più alto.