La mia replica in Senato sui limiti del decretone
Signor Presidente, Governo, Onorevoli Colleghe, Onorevoli Colleghi.
La mia replica non sarà una replica perché la discussione di ieri non è stata una discussione. Abbiamo parlato, ma non ci siamo parlati. Abbiamo ascoltato, ma non ci siamo ascoltati.
La maggioranza ha ripetuto le sue verità senza rispondere a nessuna delle domande puntuali, di merito, che abbiamo provato a porre come Partito democratico.
Abbiamo sentito molte analisi sociologiche sul senso smarrito della sinistra. Grazie, ho preso appunti.
Abbiamo sentito molte analisi economiche per cui la povertà degli ultimi anni non è colpa di una delle più terribili crisi economiche della storia italiana, ma dei governi a guida Pd. Mentre la crescita e la fuoriuscita da quella stessa crisi non sono meriti di quei governi, ma sono spuntate da sotto un cavolo.
Abbiamo discusso per ore di redistribuzione e lavoro. Di svolte epocali e abolizione della povertà. Senza mai parlare della recessione in cui sta ripiombando il nostro Paese.
Tre colleghi della maggioranza hanno rinfacciato al Pd di aver tolto l’articolo 18. Ma che cosa c’entra con il decreto che stiamo discutendo? E perché vi siete guardati bene dal reintrodurlo così com’era nei provvedimenti sul lavoro che avete fatto?
Due colleghi della maggioranza hanno rinfacciato al Pd di aver fatto gli 80 euro. Ma perché non li abolite invece di continuare a parlarne? Tra un po’ 10 miliardi potrebbero farvi comodo.
I colleghi della Lega hanno festeggiato l’abolizione della Fornero. Ma nel decreto che stiamo discutendo non c’è. Smettete di dire che non avete votato la riforma Fornero, perché se non l’avete fatto nel 2011 vi accingete a votarla qui in quest’aula. Nel decreto che state per approvare, nonostante 21 miliardi di spesa nei prossimi 3 anni, si lasciano intatte le regole di quella riforma. C’è solo una lotteria temporanea che avvantaggerà qualche coorte di lavoratori maschi con redditi medio-alti, creando uno scalone assurdo tra 3 anni. Certo, poi dite che l’abolirete dopo. Ma sono promesse. Non c’è niente in questo decreto. Vedremo se e quando lo farete, con quali soldi e con quali costi per i giovani e per le persone in difficoltà.
Un collega della maggioranza ha glorificato le virtù dell’assegno di ricollocazione, lo strumento introdotto dal Jobs act con cui un disoccupato può ricevere servizi intensivi per la ricerca di un lavoro.
Ascoltandolo ho avuto un flash. Mi sembrava di sentire Pietro Ichino, che nella scorsa legislatura sedeva su questi banchi ed è stato l’ispiratore di quello strumento. Per questo vi abbiamo chiesto: se l’assegno di ricollocazione vi piace così tanto, perché lo togliete ai disoccupati che hanno perso un lavoro da poco e potrebbero essere facilmente occupabili, per darlo a persone in condizioni di fragilità sociale che magari non lavorano da decenni? Nessuna risposta.
Continuate a confondere contrasto alla povertà e tutela della disoccupazione. Il collega e maestro Patriarca ve l’ha detto con una frase molto semplice: “può accadere che un povero non sia occupabile; e può accadere che un disoccupato non sia povero”. Entrambi hanno bisogno di una garanzia del reddito e di servizi, ma diversi. Un reddito vicino al salario che hanno perso e servizi di ricollocazione per i disoccupati; un reddito più basso ma con servizi di attivazione sociale, in collaborazione col Terzo settore, per i poveri. È quello che abbiamo iniziato a fare nella scorsa legislatura, estendendo l’indennità di disoccupazione con 2,2 miliardi e creando il reddito di inclusione con 2,5 miliardi. Si può e si deve fare di più. Ma andando in quella direzione. Non creando uno strumento ibrido che dimentica i disoccupati e non aiuterà i poveri. Vi abbiamo chiesto e richiesto il perché di questa confusione. Nessuna risposta.
Vi abbiamo chiesto di cambiare le norme che penalizzano i tanti “invisibili” del decreto: non solo i disoccupati che ancora — bontà loro — non sono poveri, ma le persone con disabilità, quelle senza fissa dimora, gli stranieri, i bambini, gli italiani che tornano in patria dopo anni passati all’estero. Vi abbiamo indicato le parti del decreto in cui vi dimenticate degli “ultimi tra gli ultimi”. Nessuna risposta.
Alcuni colleghi della maggioranza hanno detto che la sinistra italiana considera i poveri “colpevoli”. Ma quando mai? Proprio noi vi abbiamo chiesto, qui, di cambiare le parti più assurde del vostro decreto che trasudano di “povertà colpevole”. Vi abbiamo chiesto di cambiare le sanzioni penali, che sono sproporzionate. Di rivedere le condizionalità eccessive, burocratiche, l’obbligo delle ore di lavoro socialmente utile senza scopi formativi. Vi abbiamo chiesto di abbandonare la visione per cui ai poveri posso sì dare un reddito, ma poi devono lavorare gratis per me, devono consumare quello che gli dico io e, se sbagliano a produrre qualche documento, li sbatto in gattabuia. Nessuna risposta.
Guardate, su una cosa sono d’accordo con gli esponenti del governo e della maggioranza. Il 2019 sarà un anno bellissimo. Temo non per gli italiani, anche se spero di sbagliarmi, perché amo il nostro Paese, come sono sicuro che l’amiate voi. Ma di sicuro il 2019 sarà un anno bellissimo per gli esponenti del governo e della maggioranza. Un anno in cui la colpa delle cose che non vanno è sempre dei governi precedenti. Un anno in cui si possono enunciare svolte epocali nei decreti, senza preoccuparsi se quelle svolte raggiungeranno davvero la vita delle persone. Un anno di navigator precari che creano magicamente posti di lavoro e di povertà che spariscono dalla faccia della terra. Un anno in cui non si è chiamati a farsi carico della responsabilità delle proprie scelte. Sì, ieri mi avete convinto, il 2019 sarà un anno bellissimo. Ma finirà. Ci vediamo nel 2020.