Il numero di invisibili nel nostro mercato del lavoro è difficilmente quantificabile, sebbene, secondo le stime dell’ISTAT precedenti all’avvento della pandemia, i lavoratori in nero presenti in Italia erano circa 3,2 milioni. Ne consegue che il tasso di irregolarità sia del 12,9% e che il valore aggiunto prodotto sia di circa 77,8 mld di euro.
Le condizioni lavorative a cui sono sottoposti gli irregolari implicano molto spesso la negazione dei diritti umani fondamentali e delle più elementari tutele in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro. Inoltre, è opportuno sottolineare che le forme di sfruttamento e caporalato presenti in numerosi comparti dell’economia del nostro Paese rientrano, molto spesso, in schemi ben più ampi di criminalità organizzata. La ricattabilità e la condizione di subordinazione rende ancora più difficile l’emersione di tali fenomeni per paura di ripercussioni lavorative o, in alcuni casi, temendo per la propria incolumità. Lo sfruttamento, infatti, non si limita alla sola attività lavorativa, ma presenta connotati legati al razzismo e alla violenza. Non è un caso che circa il 98% delle indagini sul caporalato siano fatte d’ufficio, senza che vi sia una denuncia da parte delle vittime.
Oltre al danno arrecato alle casse dell’INPS, al dilagare del lavoro irregolare conseguono situazioni in cui numerose attività produttive subiscono situazioni di concorrenza sleale da parte di chi ricorre all’utilizzo di manodopera sottopagata, sfruttata e non tutelata da regolari contratti di lavoro. Non essendo sottoposti a prelievi di tipo previdenziale, assicurativo e fiscale, i lavoratori in nero consentono alle imprese dove prestano servizio – o a loro stessi, nel caso in cui siano considerabili “falsi lavoratori autonomi” – di beneficiare di un costo del lavoro nettamente inferiore che consente di applicare prezzi finali artificiosamente bassi.
Cosa prevede?
Proseguendo nel percorso iniziato con la legge 29 ottobre 2016, n. 199, recante Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura, il presente disegno di legge interviene nella definizione di un percorso di emancipazione e reinserimento sociale e lavorativo della vittime dei reati di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, tratta di persone, acquisto e alienazione di schiavi, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, di cui agli articoli 600, 601, 602 e 603-bis del CP.
Nello specifico, si fa riferimento all’istituzione di un programma di protezione personale, assistenza e tutela, volto all’emersione del lavoro irregolare, di superamento delle condizioni di soggezione e sfruttamento e di inserimento sociale e lavorativo. Tale programma non si limita ai soli soggetti denuncianti o dichiaranti, ma si estende a congiunti e parenti conviventi, fino al secondo grado, e a coloro che si trovano presso lo stesso luogo di lavoro o presso lo stesso datore di lavoro, nelle medesime condizioni di sfruttamento lavorativo.
Si propone, quindi, l’istituzione da parte del Prefetto, in collaborazione con l’Ispettorato nazionale del lavoro, di un ufficio per la protezione, l’assistenza e la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici in questione, che coordini gli interventi di organi pubblici, enti locali, enti privati, associazioni o consorzi tra enti, associazioni sindacali e di volontariato in una rete integrata di assistenza sanitaria, abitativa e lavorativa, per l’esecuzione del programma di protezione individuale o collettiva volto all’emersione della condizione di irregolarità lavorativa.
Il coordinamento operativo è finalizzato a garantire immediata assistenza sanitaria e legale, ospitalità abitativa e tutela presso strutture riservate o altre strutture idonee allo scopo. Inoltre, gli attori coinvolti contribuiranno a creare un adeguato percorso di regolarizzazione e di formazione tramite l’attivazione di percorsi di integrazione lavorativa o l’avviamento verso iniziative imprenditoriali.
Tale proposta non cambia l’impianto sanzionatorio esistente, ma punta a sostenere chi ha il coraggio di denunciare tramite un sistema di assistenza, protezione e formazione che si aggiunge a un sostegno economico mensile, pari all’importo mensile massimo della Nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego (NASpI). Si stima infatti che, a tal fine, debba essere stanziato un ammontare di massimo 25 milioni di euro per le annualità 2022, 2023 e 2024.
È necessario sostenere e accompagnare i lavoratori e le lavoratrici che decidono di denunciare superando i limiti legati alla condizione di subordinazione e sfruttamento. Chi è vittima non vede soluzioni alternative allo sfruttamento, in quanto, finora, alla denuncia consegue la perdita del lavoro e, in molti casi, anche dell’abitazione.
Uno degli obiettivi di questo provvedimento è quello di stimolare un momento attivo e collettivo che diviene anche solidale in quanto mira a escludere forme di vittimizzazione secondaria in cui la vittima riceve ulteriori danni economici, lavorativi e sociali dopo essere stata riconosciuta come vittima di reato di sfruttamento.
Si punta, quindi, a formare e informare le lavoratrici e i lavoratori sui propri diritti, dimostrando che esiste un’alternativa allo sfruttamento e alla privazione dei diritti. Per fare ciò, è fondamentale mettere in rete gli attori istituzionali coinvolti, le parti sociali e il terzo settore in un’azione collettiva che inneschi un circolo virtuoso e definisca un approccio sistemico nella lotta allo sfruttamento del lavoro.