Un euro, un’idea

Estratto dall’intervento in aula sulla fiducia al governo per il decreto “agosto”

Con il voto al cosiddetto decreto “agosto”, dobbiamo chiudere una fase emergenziale, fatta di interventi giustamente ispirati a una logica risarcitoria, volti a risarcire persone e imprese per i costi della crisi. E dobbiamo aprire una fase progettuale, che metta al centro la crescita (una crescita sostenuta e sostenibile) e la giustizia sociale.

Adesso governo e maggioranza devono chiedersi come farlo con la prossima legge di bilancio e con i fondi Next Generation EU.

L’Italia ha un compito enorme, perché così come ha fatto da apripista in Europa nella gestione dell’emergenza sanitaria, può giocare un ruolo da apripista su un uso progettuale delle risorse che mobiliteremo nei prossimi mesi e anni. Dove “progettuale” non sta per sommatoria di mille progetti, di mille rivoli in cui si disperdono le risorse, ma per capacità di mettere in campo un progetto, una visione. E per farlo serve la consapevolezza che i soldi sono importanti ma non bastano.

Per ogni euro che spenderemo, dovremo mettere in campo un’idea.

Un euro, un’idea.

Se investiamo un euro sull’edilizia scolastica (e dobbiamo mettercene tanti), dobbiamo metterci una nuova idea di scuola, che ripensi gli spazi e i tempi per aprirsi a territori e terzo settore, a nuove attività, per farsi comunità educante, combattere la povertà educativa e favorire la mobilità sociale.
Se investiamo un euro sulla sanità (e dobbiamo mettercene tanti usando tutte le linee di finanziamento disponibili), dobbiamo metterci una nuova idea di sanità, per raggiungere la vita delle persone, soprattutto quelle più fragili, con una forte rete di servizi territoriali (non solo ospedalieri) e investendo sulla telemedicina.

Se investiamo un euro sul sostegno per le famiglie con figli a carico (e dobbiamo mettercene tanti con la riforma dell’assegno unico), dobbiamo metterci una nuova idea di condivisione della scelta di fare figli all’interno della coppia. Non una scelta che le donne — da sole — devono “conciliare” col lavoro, ma una scelta che le coppie devono “condividere”. E allora parliamo di congedi di paternità obbligatori, di part-time di coppia agevolato; mettiamoci un’idea di condivisione per rafforzare la libertà di tutti, uomini e donne.

Se investiamo un euro sulla garanzia del reddito per chi è in difficoltà (e dobbiamo mettercene tanti), mettiamoci una nuova idea di welfare, un welfare universalistico che aiuti tutti, dipendenti e autonomi, poveri e disoccupati, ma con strumenti diversi e con servizi integrati di formazione permanente.

Concludo sui destinatari degli interventi — progettuali e non solo emergenziali — che dovremmo mettere in campo nella nuova fase che si apre con l’approvazione di questo decreto, rispetto al quale ribadisco il voto favorevole del gruppo del Partito democratico.

Ci sono senza dubbio la transizione digitale ed ecologica da mettere al centro degli investimenti pubblici e privati. Ma ci sono anche i grandi volani di crescita inclusiva che dobbiamo saper individuare nel mondo del lavoro (di nuovo, in tutto il mondo del lavoro: dipendente, autonomo e imprenditoriale). E questi volani sono innanzitutto due: il lavoro dei giovani e delle donne.

Dobbiamo smetterla di parlare di giovani e donne nei nostri convegni per iniziare a metterli al centro dei nostri decreti di spesa e delle nostre riforme.

A livello internazionale è partito un appello “Half of It” — ripreso in Italia come “Il giusto mezzo” da una rete di associazioni e personalità — per far sì che metà dei fondi UE raggiungano il lavoro e le opportunità delle donne. Non limitiamoci a firmarlo — quell’appello — ma progettiamo politicamente come metterlo in pratica, chiamando a raccolta tutti gli attori sociali e istituzionali intorno a un Piano nazionale per l’occupazione femminile e dotandoci di strumenti conoscitivi per valutare l’impatto di genere di ogni misura. Perché il giusto mezzo richiede la giusta attenzione alla valutazione e all’impatto di genere.

Di fronte a un nemico terribile e visibile, la maggioranza e il governo hanno saputo fare scelte difficili. Adesso, di fronte a un nemico altrettanto terribile ma meno visibile, come il declino economico e sociale del nostro Paese, servono scelte altrettanto difficili.

Ma soprattutto servono scelte.

Rispetto alle quali non saremo misurati contando i “mi piace” su Facebook domani, ma pesando i giudizi sulla nostra capacità di promuovere la crescita economica e la giustizia sociale dopodomani.