“La riforma dell’assegno unico per i figli rischia l’effetto boomerang”, dice il senatore pd Tommaso Nannicini. “Il 30% delle famiglie può avere svantaggi col décalage in base all’Isee. Propongo di stornare subito 2 miliardi dal Fondo per la riforma fiscale per sventare questo pericolo e dare ai cittadini un segnale di svolta della politica”.
Senatore, lei segnala un rischio per le tasche delle famiglie. Ma tra Pd e Iv sembra partita la rincorsa ad attribuirsi il merito della riforma.
“L’assegno unico era nel programma del Pd per le elezioni del 2018. Subito dopo è diventato un disegno di legge a firma mia al Senato e di Graziano Delrio alla Camera. La ministra Bonetti ha poi preso in mano il dossier e ora è legge. Se litighiamo inutilmente sulle bandierine, rischiamo il boomerang”.
L’Agenzia Arel diretta da Enrico Letta calcola – in uno studio realizzato con la Fondazione E. Gorrieri e l’Alleanza per l’infanzia – in un milione e 350 mila le famiglie penalizzate. È così?
“Anche i nostri calcoli, oltre alle analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio e dell’Istat, portano a dire che il 30% delle famiglie può avere svantaggi, anche se in molti casi esigui. Dobbiamo sventarli, se vogliamo dare un segnale di svolta della politica, un cambio di passo nel sostegno della natalità e dell’occupazione femminile. Altrimenti la riforma perde l’effetto delle aspettative sulle famiglie”.
Non è semplice. La Ragioneria ha chiesto di togliere la clausola di salvaguardia dal testo finale, ora legge. Come si fa a garantire che nessuno ci perderà rispetto a oggi?
“La clausola va riattivata e pagata. Servono 1-2 miliardi se non vogliamo macchiare la riforma e trasformarla in un doppio regime – il vecchio e il nuovo – tra cui le famiglie saranno chiamate a scegliere. Ricordiamoci che si tratta di una riforma, non un bonus. Non sprechiamo quest’occasione storica”.
Dove trovare 2 miliardi? Ce sono 20, di cui 14 dall’abolizione di agevolazioni esistenti e 6 aggiuntivi. Gli altri?
“Propongo di prenderli dal Fondo per la riforma fiscale, da cui tra l’altro vengono anche gli altri 6 nuovi. D’altro canto 2 miliardi per riformare l’Irpef sono del tutto insufficienti. Tanto vale metterli sull’assegno per i figli e attuare bene questa riforma”.
I soldi di quel Fondo in realtà sono stanziati a partire dal 2022…
“Non mi scandalizzerei se l’assegno unico partisse a settembre anziché luglio. Così potremmo usare i soldi che ci sono già. Ciò che conta ora è fare una scelta politica chiara, far capire alle famiglie che ci crediamo non solo a parole ma con i fatti”.
Non è l’unico correttivo da apportare. Cosa succede al contributo dello 0,68% pagato dai datori di lavoro per gli assegni famigliari dei dipendenti, ora aboliti? Devono continuare a versarlo?
“È corretto senza dubbio toglierlo, ma servono altri 2 miliardi. Possiamo pensarci con la prossima legge di bilancio, così da alleggerire il cuneo fiscale dall’1 gennaio 2022 e fare una politica espansiva per molte imprese”.
In totale siamo a 4 miliardi di risorse extra da recuperare. C’è poi la questione del reddito di cittadinanza, compatibile anche con il nuovo assegno unico. Come si conciliano?
“Ci sono delle sovrapposizioni che vanno eliminate. Direi che è l’occasione buona per migliorare il reddito, visto che uno dei suoi limiti è proprio la scala di equivalenza penalizzante per le famiglie numerose. Le due misure si possono integrare per dare un sostegno più forte ai nuclei con figli e contrastare la povertà minorile”.
L’assegno unico davvero aiuta le donne?
“Temo al contrario un disincentivo all’occupazione femminile, per come è strutturato ora. Non a caso il ddl Delrio-Nannicini del 2018 partiva da 240 euro al mese per figlio e seguiva il décalage esistente dell’Irpef: nessuno ci perdeva. Ora invece con l’Isee è diverso: alcuni ci perdono e conviene non avere in casa un secondo percettore di reddito che di solito è una donna. Possiamo comunque evitarlo considerando solo una sottocategoria dell’Isee, una componente reddituale e non anche patrimoniale”.
Alcuni critici osservano che l’assegno di fatto è un regalo ad autonomi e incapienti, oggi esclusi da assegni e detrazioni. Una categoria, quella degli autonomi, incline all’evasione. Cosa ne pensa?
“Usciamo da questa guerra tra guelfi e ghibellini. Sennò si potrebbe anche dire che la cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti hanno protetto soprattutto i lavoratori dipendenti durante la pandemia, mentre gli autonomi sono i più danneggiati in assoluto. Non possiamo ragionare come se esistessero famiglie di serie A e di serie B, non ci sono figli che contano di meno. Anzi, dobbiamo abbracciarli tutti con l’assegno. Poi l’evasione si combatte certo, ma con altri strumenti. Non possiamo disegnare politiche sempre pensando alle patologie. Altrimenti il risultato è un arlecchino del welfare che dà solo ad alcuni e non ad altri”.
Ma basta un assegno per figlio a rilanciare la natalità in Italia?
“Non basta. La riforma deve essere più ampia e mirare alle infrastrutture per l’infanzia, rafforzare i servizi educativi, introdurre congedi e part-time agevolato paritari, nella stessa misura, sia per l’uomo che per la donna. E in parallelo introdurre agevolazioni per le imprese che devono affrontare il costo di permettere alla coppia di assentarsi o lavorare meno. Ci stiamo lavorando con l’associazione Volare. Presto presenteremo un disegno di legge”.