Il Corriere Fiorentino

Il resistibile fascino dell’autocritica

Tommaso Nannicini
Democrazia/#Toscana

Il regista Monicelli – sul primo numero del Corriere Fiorentino – punzecchiò i politici toscani attribuendogli una mentalità faziosa (alla guelfi e ghibellini, per intenderci). C’è del vero. E l’inclinazione al manicheismo produce spesso un’altra vittima: la capacità di autocritica. Se, sull’onda dell’entusiasmo (o della convenienza), si dipingono a tinte forti le divisioni politiche, risulta poi difficile, qualora i fatti lo richiedano, ammettere i propri errori.

Il Pd toscano ha da poco presentato una proposta di riforma istituzionale che riduce il numero dei consiglieri regionali e supera l’attuale legge elettorale con liste bloccate, rinnegando le scelte compiute nel 2004 dai gruppi dirigenti allora alla guida di Ds e Margherita e oggi alle redini del Pd. Possibile che nessuno si senta in dovere di un’autocritica? Oggi tutti chiamano “porcata”, o addirittura “antidemocratica”, una legge elettorale nazionale che regala la scelta dei candidati alle segreterie dei partiti, ma quando la Toscana aprì la strada in quella direzione, pochi si opposero. Per giustificare la scelta, si disse che il rimedio risiedeva nelle primarie per legge.

Come è stato possibile, allora, che il Pd toscano abbia accettato di non usare le primarie per scegliere i propri candidati al parlamento? Se ne sono viste di tutti i colori: curiose assemblee in cui si invitavano i cittadini a proporre candidati senza misurarne il consenso; coordinatori di un partito tuttora senza iscritti che hanno fatto e disfatto senza sentire il dovere di consultazioni ampie e trasparenti. Di fronte a procedure del genere, è stato difficile non provare un po’ di invidia per le primarie degli Stati Uniti, paese che ha iscritto nel proprio codice genetico, per dirla con James Madison, il diritto al libero scrutinio non solo delle politiche ma anche delle figure pubbliche.

La recente esperienza delle politiche dovrebbe insegnare un’altra lezione. Si è fatto un gran parlare del candidato X presentato in quanto operaio, di Y perché giovane, o di Z perché imprenditore. A nessuno è venuto in mente di giustificare una certa candidatura in quanto espressione coerente di una linea politica. Per ridurre il trasformismo, invece, la battaglia interna ai partiti dovrebbe basarsi su un confronto trasparente tra opzioni diverse. Ecco quello che servirebbe in vista delle comunali 2009 a Firenze: primarie tra candidati alternativi e un dibattito incentrato sui contenuti, a partire dagli elementi di continuità o discontinuità rispetto alla giunta Domenici.

Ma di tutto tranne che di contenuti si è finora parlato, per esempio, nello scegliere gli organismi dirigenti del Pd. Si pensi alla decisione nazionale di smarcarsi dalla sinistra radicale. Ai tempi del secondo governo Berlusconi, quando in Toscana andava di moda flirtare con i movimenti, chi metteva in guardia dalle ambiguità programmatiche su cui stava nascendo l’Unione era accusato di disturbare i manovratori, allegramente lanciati verso la vittoria elettorale. Anche su questo, nessuna autocritica sembra nell’aria. Nuova linea politica imposta dall’alto, nuovo giro di valzer. L’importante è che a ballare siano più o meno gli stessi