Cornuti e mazziati. Non hanno partecipato al banchetto del debito pubblico e hanno ereditato un Paese ingessato da un welfare e da un’organizzazione del lavoro, nel pubblico e nel privato, a uso e consumo delle generazioni più anziane. Hanno subito più di tutti (insieme alle donne) i costi della crisi del 2008 e della pandemia del 2020, per colpa di assetti gerontocratici e patriarcali. Sono i giovani italiani, a cui adesso qualcuno pretende di spiegare che la colpa è loro. Che devono mettersi in gioco e accettare vecchi tirocini e nuovi voucher (versione Matteo Salvini). O che devono preferire quello che passa il convento ai sussidi (versione Guido Barilla). Dopo il danno, la beffa: nessuna opportunità e una narrazione tossica che li dipinge come bamboccioni. Peccato che il nostro welfare di sussidi ne preveda pochi per i giovani, e che proprio per questo l’unica scelta che rimane è tra venire sfruttati o andare all’estero.
Qualcuno obietta: ma le nuove generazioni stanno meglio delle precedenti, c’è più ricchezza, c’è la casa dei genitori, c’è il parcheggio in qualche università. Peccato che non tutti abbiano genitori in grado di sostenerli. E peccato che chi li ha vorrebbe altro, quello che hanno avuto le generazioni precedenti: un ascensore sociale non completamente bloccato, che permetta di mettersi in gioco e costruire il proprio futuro. Il proprio, non quello di altri. Salari che crescono solo con l’anzianità; tirocini non pagati e finte partite Iva; una formazione pensata solo per chi la fa; un welfare che si preoccupa di quando mandarti in pensione, non di aiutarti a rischiare e costruire una storia contributiva: sono tutti ingredienti di una ricetta che ha privato intere generazioni del diritto a sognare. I bamboccioni sono gli adulti che hanno fatto queste scelte, non chi le ha subite.
La questione generazionale è lo specchio della questione italiana, del perché il nostro Paese non cresce e non investe sulla qualità del lavoro. Il nuovo Pd di Enrico Letta ne ha fatta la sua priorità, creando una “missione giovani” che non sta solo mettendo in fila politiche giovanili, ma sta ridisegnando il cuore dell’indirizzo politico che l’Italia dovrebbe darsi. Le prime partite su cui il Pd ha fatto sentire il suo peso vanno tutte in questa direzione: le condizioni a favore dell’occupazione giovanile e femminile nel Pnrr; la proposta di riformare l’apprendistato e cancellare i tirocini extracurricolari; una Pa che valorizzi l’impegno dei giovani e non un pezzo di carta; una dote universale per liberare la voglia di emancipazione dei diciottenni. Ora queste proposte vanno rafforzate nella discussione pubblica e, soprattutto, vanno inserite in una svolta su tutto: welfare; fisco; politiche industriali; scuola e università. Solo se l’Italia riparte, i divari generazionali si riducono. E viceversa.
Sul welfare, il reddito di cittadinanza non basta. Se perdi un lavoro, non devi diventare povero perché lo Stato ti aiuti. Serve un “reddito di formazione” che funga da ammortizzatore sociale universale per chi perde un lavoro o lo cerca per la prima volta. Una Naspi rafforzata legata a un bilancio delle competenze e a servizi personalizzati di orientamento, formazione e accompagnamento al lavoro. È l’opposto del “teorema Barilla”: un welfare più forte e più a misura di giovani rafforza il loro salario di riserva, l’offerta minima che sono disposti ad accettare, sottraendoli al ricatto dello sfruttamento generazionale. Non solo, dobbiamo rafforzare la buona contrattazione collettiva dei sindacati più rappresentativi, perché solo da lì può arrivare la garanzia di una giusta retribuzione.
Se ci sono filiere produttive o aziende che non riescono a creare lavoro senza sfruttamento, l’Italia del dopo pandemia (e del dopo Pnrr) non deve fare per loro. Per questo quel piano di investimenti va rafforzato con politiche industriali che sostanzino un’idea diversa di qualità del lavoro. Servono politiche fiscali che favoriscano lavoro e investimenti, chiedendo un sacrificio in più a rendita e ricchezza, e che tornino a fare redistribuzione. Servono risorse permanenti su politiche per l’infanzia, scuola, ricerca e università, per combattere la povertà educativa e moltiplicare le opportunità delle nuove generazioni. Non stiamo parlando di politiche per i giovani. Ma di un’altra idea di lavoro: emancipazione, non sfruttamento. E di un’altra idea di welfare: universale, non categoriale. Passa da qui la soluzione alla questione generazionale. Alla questione italiana.