Nessuna riforma al mondo ha tagliato i parlamentari senza rivedere le funzioni del Parlamento.
Di tutte le minchiate che circolano sul taglio dei parlamentari cucinato dai masterchef grillini, con l’aiuto determinante degli aiuto-chef leghisti, quella più grossa è che si tratta di un intervento in linea con i tentativi di riforma degli ultimi trent’anni e, di conseguenza, con le proposte del centrosinistra nello stesso arco di tempo. Chi lo sostiene confonde mele con pere, che è appunto una minchiata sotto il profilo tecnico. Nessuna riforma al mondo (e va da sé in Italia) ha mai ridotto il numero dei parlamentari senza intervenire sulle funzioni del Parlamento. Tutte le proposte del passato partivano da un ripensamento di Camera e Senato, delle loro differenze e del loro funzionamento, e nella stragrande maggioranza dei casi finivano per abbandonare il nostro bicameralismo paritario. La riduzione del numero dei parlamentari ne era una mera conseguenza.
Col taglio lineare ideato dai nostri populisti all’amatriciana (con cipolla), andremo nella direzione opposta di tutte le ipotesi di riforma degli ultimi trent’anni. Renderemo ancor più paritario il nostro bicameralismo: togliendo la rappresentanza regionale al Senato; equiparando elettorato attivo e passivo; costruendo una legge elettorale fotocopia. Solo in Italia e nella Guinea Equatoriale avremo due camere con la stessa legge elettorale, le stesse funzioni e nessuna regola per risolvere i conflitti. Insomma, per ridurre i parlamentari senza ridurre la qualità della democrazia, e per dare un senso alla riforma del Titolo V del 2001, che come ha dimostrato la gestione della pandemia un senso non ce l’ha, saremmo dovuti partire da un ripensamento del nostro bicameralismo. Adesso, alcuni sostenitori del Sì tirano fuori la storiella che questa maggioranza farà altre riforme, magari introducendo il voto di fiducia a camere riunite. Ci raccontano che questa è solo una riforma “parziale”. Siamo al paradosso: è la prima volta nella storia di un referendum che i sostenitori del Sì non ti chiedono un voto per la riforma già approvata dal Parlamento, ma per quella che – pare – faranno. Non ci vuole molto a capire che in questi casi è meglio non fidarsi.
Ma c’è dell’altro. Cambiare un tanto al chilo la Costituzione nata dalla Resistenza per strizzare l’occhio ai populisti renderà più debole la nostra democrazia rappresentativa. La cosa può far piacere a chi vorrebbe sostituirla con una piattaforma digitale privata, ma dovrebbe impensierire un po’ di più tutti gli altri. I territori meno abitati e più periferici, nonché gli italiani all’estero, avranno meno voce. Il Parlamento, che già adesso è fortemente svilito nelle sue funzioni, lavorerà peggio, con commissioni parlamentari ridotte all’osso e incapaci di controllare la qualità delle leggi. I governi saranno in balia dei capricci di due o tre senatori.
Alla fine – ed ecco la fregatura che la nuova Casta populista ci vuole cucinare – i parlamentari saranno scelti dai vertici dei partiti in poche liste bloccate, spezzando qualsiasi legame con i territori e premiando i fedelissimi a scapito delle competenze. Di fronte a quest’ultimo argomento qualcuno obietta: è così già adesso e non dipende dal taglio dei parlamentari, ma dalla legge elettorale. Basta avere un minimo di familiarità con la letteratura scientifica sulle riforme istituzionali (o anche solo aver messo piede in un consiglio comunale) oppure con la letteratura scientifica sulla selezione della classe politica (o anche solo aver assistito a qualche riunione per la formazione di liste elettorali) per capire perché la situazione sia destinata a peggiorare. E di brutto. Il taglio è esattamente l’alibi per avere liste bloccate; semplici argomenti di analisi delle organizzazioni spiegano perché ci sarà meno spazio per chi ha competenze esterne o percorsi radicati nelle amministrazioni locali; l’assenza di proposte sulla democrazia interna ai partiti farà il resto.
Per chi ancora crede nella politica come battaglia ideale, la cosa che più stupisce è che il Pd tutti questi argomenti li ha detti con forza (e anche con un pizzico di arroganza) quando ha dovuto motivare il suo No al taglio (per tre volte) in Parlamento. Salvo poi spiegarci con la stessa forza (e sempre con un pizzico di arroganza) che si poteva votare Sì in quarta lettura, ma solo perché sarebbero arrivati dei correttivi istituzionali. Adesso che di quei correttivi non si vede neanche l’ombra, pare che il Pd si prepari con la stessa forza a dirci che voterà Sì in ogni caso. Speriamo che, in questa ultima giravolta, ci sia almeno risparmiata l’arroganza.
L’unico argomento residuo è quello di “non regalare” il taglio dei parlamentari ai populisti. Sinceramente, è da trent’anni che a furia di non regalare il giustizialismo ai giustizialisti, il moralismo ai moralisti, l’antipolitica ai populisti, abbiamo prodotto disastri, svilendo la dignità della politica e la qualità delle istituzioni. Errare è umano, perseverare un po’ meno. Care democratiche e cari democratici, su la testa!