Equità sociale ed equità tra generazioni possono e devono sposarsi
Equità attuariale (tra generazioni diverse) ed equità sociale (all’interno della stessa generazione, giovane o anziana che sia) possono e devono camminare insieme.
Il governo Renzi lo ha dimostrato con la “fase uno” dell’accordo con Cgil-Cisl-Uil, garantendo l’equilibrio finanziario del sistema (che presidia il corretto rapporto tra generazioni) ma nello stesso tempo dando risposte concrete a due tipologie di persone.
Da una parte, fornendo un reddito ponte a carico dello Stato a chi fatica a rimanere occupato fino all’età della pensione per motivi legati al mercato del lavoro o esigenze di cura familiare.
E dall’altra, dando un’opportunità in più di avere un reddito ponte prima della pensione per chi sarà disposto a pagare un costo (agevolato) di tasca propria (con l’Ape volontaria) o vorrà usare prima la previdenza integrativa (con Rita).
Adesso, lo stesso approccio deve ispirare la “fase due” dell’azione di governo. Ripartendo dai giovani. Inutile nasconderselo: politica e sindacato hanno un problema di credibilità quando s’incontrano per parlare di giovani. Questo problema si risolve solo tenendo ferma la bussola della fase due. Evitando, per esempio, di parlare di giovani ma dando priorità solo a strumenti che aiutano altre generazioni. E facendo l’opposto di quanto è stato fatto nel 1995 con la riforma Dini, quando — con la decisione di non introdurre il calcolo pro rata per tutti — si è deciso di salvare intere coorti. Diciamocelo: i successivi aumenti dell’età di pensionamento sono figli delle baby pensioni di un tempo. E ridurre il debito implicito aiuta i giovani se quella riduzione viene da tagli al debito corrente; se viene invece da tagli alle prestazioni future siamo di fronte a un furto intergenerazionale. Gli interventi della scorsa legge di bilancio hanno tamponato i costi sociali più immediati del brusco innalzamento dei requisiti per andare in pensione. Adesso, tocca ai giovani.
Qualcuno obietterà: ma perché preoccuparci ora di chi va in pensione dopo il 2030? La risposta è semplice. Una politica che si prende cura del futuro non si limita a gestire le emergenze: le anticipa. Giocare d’anticipo significa anche impegnarsi a garantire una prestazione certa e adeguata ai pensionati di domani. Il Pd intende raccogliere questa sfida, presentando proposte concrete per una pensione di garanzia rivolta a chi, in regime di contributivo pieno e quindi attualmente privo di integrazione minima, ha un reddito basso o una carriera lavorativa discontinua. Una pensione di garanzia modulata sugli anni di contributi per non scoraggiare il lavoro, ma capace di valorizzare anche le fasi di formazione permanente e di ricerca attiva di un’occupazione.
Allo stesso tempo, le misure introdotte con la scorsa legge di bilancio necessitano di un tagliando. L’Ape sociale e l’anticipo per i lavoratori precoci hanno avuto un ottimo riscontro, con oltre 66 mila domande presentate in poco meno di un mese.
Diventa ora fondamentale monitorare quante domande saranno accolte, per capire dove intervenire per rendere più inclusive queste misure. Di sicuro, si dovrà correggere l’errore per cui i disoccupati che hanno finito gli ammortizzatori sociali ma vengono da un contratto a tempo determinato non hanno accesso ai benefici.
L’Ape volontaria, invece, è stata pensata per venire incontro non a un bisogno sociale ma a una preferenza individuale. Si tratta di uno strumento finanziario di flessibilità con un impatto minimo sui conti pubblici, ma fortemente agevolato per chi volesse usarlo: per ogni anno di anticipo, si dovrà rinunciare a poco più del 4% della pensione per i successivi venti anni. Questo ovviamente con gli attuali tassi favorevoli: ecco perché è importante stringere i tempi. Un po’ di ritardo è comprensibile per la complessità dello strumento, totalmente nuovo nel panorama europeo, ma un ulteriore rinvio oltre settembre sarebbe impossibile da spiegare ai cittadini.
Tutto questo senza dimenticare che non tutte le risposte possono venire dalla leva previdenziale: senza una crescita stabile e un aumento dei tassi di occupazione giovanile e femminile, l’equità resterà un miraggio. Anche su questo fronte gli sforzi già intrapresi vanno raddoppiati.