Linkiesta

Bene l’Italicum, ma solo se si abolisce il Senato

Tommaso Nannicini
Democrazia/#legge elettorale

Superato lo scoglio dell’approvazione alla Camera, la nuova proposta di legge elettorale, il cosiddetto Italicum, si appresta ad essere sottoposta al vaglio del Senato. È un bene per le sorti della legislatura, e del Paese, che il cammino delle riforme non si sia bruscamente interrotto. Resta il tema, però, di come valutare la riforma e di capire se esistono ancora margini di miglioramento. Non si può derubricare qualsiasi mal di pancia a “sabotaggio politico” o a “pignoleria” da studiosi poco avvezzi alle ferree logiche della politica.

Come ogni riforma elettorale, l’Italicum è frutto di un compromesso. Niente di male. Piaccia o no, è normale che i partiti, tutti, guardino ai propri interessi di bottega quando si tratta di cambiare le regole del gioco. Il compromesso, però, deve essere trasparente e la sua logica deve essere spiegata agli italiani. Sarebbe sbagliato se i partiti considerassero la legge elettorale soltanto “affare loro”.

Ludovica Cherchi ha già affrontato per Link Tank il tema delle quote rosa. Consideriamo tre ulteriori elementi: 1) la soglia per accedere al premio di maggioranza, fissata al 37 per cento al primo turno; 2) il fatto che i partiti al di sotto della soglia di sbarramento del 4,5 per cento contribuiranno con i loro voti a far scattare l’eventuale premio di maggioranza per la propria coalizione; 3) l’ampiezza dei collegi.

La soglia del 37 per cento, francamente, stride un po’ con la logica del doppio turno, che richiederebbe un’asticella più alta. Ma qui il compromesso è chiaro e tutto sommato accettabile. Il Pd guadagna dal doppio turno, perché ha una leadership che può pescare al di fuori del suo elettorato tradizionale. Berlusconi, di conseguenza, è disposto ad accettare il doppio turno solo se si lascia una soglia non troppo alta per vincere al primo, in modo che lui possa provare a giocarsi lì la partita.

Il secondo elemento, come abbiamo già sottolineato su Link Tank, è senz’altro quello più problematico. Anche i partiti che non supereranno la soglia del 4,5 per cento per l’accesso in Parlamento contribuiranno con i loro voti al raggiungimento della soglia del 37 per cento, che potrebbe garantire il premio di maggioranza alla coalizione cui appartengono. Questo meccanismo crea incentivi perversi per i grandi partiti, che saranno tentati di raccattare voti assemblando una coalizione con tante liste civetta, dai “pensionati no euro” ai “pensionati pro euro”, piuttosto che presentando un messaggio coerente agli italiani. Il meccanismo, inoltre, lascia un considerevole potere ricatto ai piccoli partiti, aumentando il valore di doti elettorali anche piccole e abbondantemente sotto soglia.

Sull’ampiezza dei collegi, infine, si sta imboccando la strada sbagliata. Il mese scorso, avevo auspicato l’innesto dei collegi uninominali nell’impianto dell’Italicum o, almeno, uno scatto di fantasia geografica per disegnare 160 collegi plurinominali, con candidati facilmente individuabili sul territorio. Adesso, si prevede un massimo di 120 collegi, le cui liste bloccate non risulteranno così corte come si dice. Visto che i collegi non saranno usati per allocare i seggi tra i partiti (a quello penseranno il premio di maggioranza e la regola proporzionale), ma solo a scegliere gli eletti all’interno di ogni partito, non si capisce perché si sia deciso di intraprendere questa strada con tanta ostinazione.

Chi avanza queste critiche, si sente rispondere che l’Italicum è comunque un passo avanti rispetto allo status quo proporzionale creato dalla sentenza della Corte costituzionale. Sì e no. Lo è senz’altro se viene abolito il Senato elettivo, perché così avremo una legge in grado di garantire la governabilità alla Camera. Ma se per qualche ragione dovesse saltare la riforma del Senato, due maggioranze disomogenee e il vincolo politico imposto da una nuova legge appena introdotta per una delle due camere renderebbero ancora più complicato un percorso costituente, a quel punto a dir poco imprescindibile. Bene ha fatto Renzi, quindi, a mettere in gioco la propria credibilità politica sul superamento del bicameralismo perfetto, nella conferenza stampa in cui ha presentato il Jobs Act e il suo piano di riforme.

Anche se verrà abolito il rapporto fiduciario tra Senato e governo e l’Italicum varrà per la sola Camera, tuttavia, non è chiaro perché gli elementi critici di cui sopra (piccoli partiti che contribuiscono al premio di maggioranza e ampiezza delle liste bloccate) non possano essere rivisti, senza stravolgere l’impianto della riforma. Perlomeno si dica quale contraente dell’accordo si è impuntato. E perché.

Dopo l’approvazione dell’Italicum alla Camera, il premier ha twittato che la politica ha battuto il disfattismo uno a zero.

Grazie alle deputate e ai deputati.Hanno dimostrato che possiamo davvero cambiare l’Italia. Politica 1~Disfattismo 0. Questa è #laSvoltabuona

— Matteo Renzi (@matteorenzi) 12 Marzo 2014

Vero. Ma se la politica si scorderà di giocare bene, la partita di ritorno potrebbe avere un esito non scontato. E, soprattutto, invitare la politica a migliorarsi non significa tifare per il disfattismo.

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