DOC Toscana

Centrosinistra “aperto” o “chiuso”?

Tommaso Nannicini
Democrazia/#sinistra

Esistono due dimensioni lungo le quali, nei mesi passati, il dilemma tra “apertura” e “chiusura” ha modulato il dibattito (e le fratture) all’interno del centrosinistra: l’esigenza (o meno) di aprire un dialogo attivo con quei movimenti che hanno riproposto forme di partecipazione parallele alla politica tradizionale; l’opportunità (o meno) di aprire un confronto con la maggioranza di governo sul tema bipartisan dell’assetto istituzionale. In entrambi i casi, ci si è posti una domanda simile (e si è assistito allo scontro tra due anime che ventilavano risposte diverse). Il centrosinistra dovrebbe parlare di più con i movimenti? Si può dialogare con uno schieramento come quello berlusconiano? In entrambi i casi, la risposta giusta non coincide né con un “sì” né con un “no”, ma con un atteggiamento del tipo: “sì, ma soltanto a certe condizioni”. Vediamo quali.
Sul versante del dialogo con i movimenti, il centrosinistra rischia di farsi sedurre dalla “scorciatoia movimentista”: “dobbiamo parlare con i movimenti, perché lì c’è la società civile”. Parlare va bene, ma per dire cosa? Per gli individui, è buona regola pensare prima di parlare. Non si vede perché lo stesso criterio non debba valere per i soggetti politici, nel cui caso “pensare” equivale a elaborare idee e proposte. Il protagonismo dei movimenti – new global, girotondi, protesta sociale – è benvenuto per l’aria fresca che porta, ma chiunque ambisca a svolgere una funzione politica non può prescindere dai contenuti. Troppo spesso, chi usa l’espressione “parlare con i movimenti” finisce per suggerire al centrosinistra di “accodarsi” a tutto quello che si muove in quel mondo. Prendiamo alcuni temi a titolo d’esempio.

Primo: la globalizzazione. Non solo è giusto ascoltare la domanda di una maggiore uguaglianzainternazionale che proviene dal movimento new global; il centrosinistra dovrebbe fare di questa domanda la stella polare del proprio riformismo. Si tratta di raccogliere su scala globale la bandiera che il movimento socialista e il popolarismo cattolico hanno tenuto alta all’inizio del secolo, nella sfida contro la povertà interna. Ma è sulle politiche che deve concentrarsi il dibattito. Per esempio, ha davvero poco senso contestare la Wto. Criticarla sul piano istituzionale – perché ha troppo potere – significa non cogliere gli elementi positivi della spinta verso la creazione di istituzioni globali che affrontino i problemi globali. Criticarla sul piano delle politiche – perché persegue la liberalizzazione del commercio – equivale ad appoggiare le istanze protezionistiche degli interessi distributivi dei paesi ricchi. La Wto svolge bene il proprio compito, che è quello di favorire l’apertura dei mercati. Ciò non basta a risolvere il problema del sottosviluppo. Ma non possiamo farne una colpa alla Wto. Il problema è che non esistono istituzioni altrettanto efficaci per l’allargamento delle opportunità sociali. Ecco quello di cui dovremmo discutere: degli strumenti per distribuire i benefici della globalizzazione.

Se il centrosinistra assumesse un’ottica del genere, si accorgerebbe come posizioni contradditorie che convivono allegramente nel “movimento dei movimenti” (che non è chiamato a responsabilità politiche dirette) non possano coesistere in una prospettiva riformista: le istanze di lotta alla povertà avanzate dall’associazionismo e la domanda di istituzioni internazionali più efficaci sollevata dalle Ong possono portare linfa vitale a una prospettiva riformista; il neo-protezionismo “alla Bové” o l’ideologismo carico di pregiudizi anti-mercato e anti-Usa, invece, non portano da nessuna parte. Una distinzione di questo tipo (e una scelta sui diversi toni con cui parlare con gli uni o con gli altri) non può non essere fatta.

Secondo esempio: il mercato del lavoro. L’Ulivo si è schierato a fianco della Cgil nella difesa dello Statuto dei lavoratori e ha presentato due proposte legislative: una “carta dei diritti” che innova ed estende le tutele a chi oggi ne è privo; una proposta sui “diritti di sicurezza” che allarga il sistema degli ammortizzatori sociali al lavoro atipico. La Cgil ha condotto una raccolta di firme a favore di due obiettivi: allargare le tutele e riformare gli ammortizzatori sociali. Questa compagna ha avuto successo. Ma in che misura le proposte dell’Ulivo realizzano gli obiettivi enunciati genericamente dalla campagna Cgil? È a questa domanda che sindacato e centrosinistra sono chiamati a rispondere. Francamente, non si riesce a vedere la presunta incapacità dell’Ulivo nel dare uno sbocco politico alla protesta sociale.

Terzo esempio: il monopolio berlusconiano nell’informazione. Parlando del “partito” girotondista, Antonio Polito ha scritto: “Non riesco a dimenticare che più o meno questo stesso “partito” scelse un referendum per togliere due reti al Cavaliere, affondando una riforma parlamentare che gliene avrebbe tolta una. Con il risultato di farsi battere da Iva Zanicchi, e di regalare la sanzione del voto popolare al monopolio tv”. Vogliamo parlare anche di questo quando scegliamo la nostra strategia in tema d’informazione? E vogliamo valutare compiutamente l’ottima scelta di nominare Paolo Mieli alla presidenza Rai, salutata da alcuni come semplice “lottizzazione”?

Anche sul versante del dialogo con il centrodestra, il dibattito interno al centrosinistra ha percorso binari lontani dai contenuti. Ha prevalso la “dottrina del radicalismo preventivo”: per cui, si è contro il dialogo con la maggioranza, prima ancora di conoscere i contenuti possibili del confronto. Non esiste forse l’esigenza di portare a termine la transizione istituzionale verso un assetto di “democrazia maggioritaria”, funzionante e con i necessari contrappesi? Se questa esigenza è ancora attuale, attraverso quali strade una forza politica responsabile pensa di farsene carico, anche quando non possiede la maggioranza dei voti in parlamento? E soprattutto: su quali contenuti di riforma potrebbe articolarsi un’utile dialettica tra maggioranza e opposizione?

In entrambi i casi discussi, c’è stato un grande assente: il dibattito sui programmi e sull’identità del centrosinistra. Dibattito che continua a latitare, perché non esiste un luogo dove svilupparlo. I contenuti ci sono già; serve una sede di confronto (aperta e vincolante) dove poter scegliere tra prospettive diverse. Dobbiamo ripartire dall’individuazione di regole efficaci per la selezione della leadership e del progetto politico (comitati di collegio, primarie, assemblea programmatica con tesi contrapposte). Solo con scelte di questo tipo si potrà rafforzare un soggetto politico – l’Ulivo – che ambisca a parlare a tutta la società italiana (civile o incivile che sia), prospettandole una nuova via per coniugare benessere ed eguaglianza.