Linkiesta

Che bello, il debito pubblico non esiste

Tommaso Nannicini
Economia/#debito pubblico#economia

Scenario: trasmissione “La Gabbia” su La7. Paolo Barnard, accento sofisticato, giornalista ed “economista” (secondo la dicitura sullo schermo), epigono della cosiddetta “Modern Money Theory” (MMT per gli amici), avanza una teoria apparentemente eterodossa, ma sostanzialmente strampalata. “Il debito pubblico – secondo il Nostro – non esiste”. Visto che è detenuto dai cittadini italiani, sarebbe meglio parlare di “credito pubblico”. Smettiamo dunque di preoccuparcene e chiediamo allo Stato di fare nuovo deficit per uscire dalla recessione. Che bello.

In forme meno estremizzate, la teoria circola in vari ambienti. Il suo punto debole è il totale disinteresse per gli aspetti redistributivi della questione. Anche se sorvoliamo sul dettaglio che una parte minoritaria del debito italiano è detenuta da stranieri (e un’altra da investitori istituzionali italiani che non possono ignorare le regole dei mercati internazionali), l’errore di Barnard è di pensare che esistano due soli soggetti: lo Stato e i cittadini italiani (in un sol corpo uniti).

Proviamo a usare un modello più esteso. Sempre semplificato, ma con un soggetto in più. Assumiamo che i cittadini italiani siano due. Stefania, che da brava formica risparmia per far fronte alle incertezze del futuro. E Tommaso, che mangia sempre al ristorante e ha un tasso di risparmio pari a zero (ogni riferimento all’autore di questo blog è puramente voluto). Lo Stato ha una spesa pubblica superiore alle tasse che impone sui due cittadini. Nel tempo, quindi, accumula debito pubblico. Stefania, grazie alla bassa pressione fiscale, accumula invece ricchezza privata, che investe nell’unica forma di risparmio possibile nel nostro modello: buoni del Tesoro. Tommaso spende tutto.

Dopo qualche decennio, lo Stato vuole liberarsi del fardello accumulato. L’opzione Barnard è semplice. Il debito non esiste. Stefania è italiana, quindi facciamo finta di niente. Non onoriamo il debito nei suoi confronti o la costringiamo a un prestito forzoso. Due problemi. Primo: è giusto redistribuire risorse da Stefania verso Tommaso? Secondo: siamo sicuri che il giorno dopo, per finanziare il nuovo deficit della soluzione Barnard, Stefania sia ancora disposta a investire i suoi risparmi in buoni del Tesoro piuttosto che tenerli sotto il materasso? (Tommaso, si sa, non risparmia e quindi non può finanziare alcunché.)

Da buon moralista, Barnard obietterà che basta spostare l’onere dell’aggiustamento su Tommaso, tassando il suo flusso di reddito. Due problemi. Primo: dovendo lavorare non per pagare il ristorante ma per finanziare lo Stato, è probabile che Tommaso lavorerà di meno. Secondo: colpire il suo reddito da lavoro per rientrare dal debito significa aumentare l’avanzo primario per realizzare un aggiustamento fiscale. In una parola: austerità, che nel Barnard-pensiero equivale alla pornografia.

Insomma: la sostenibilità del debito (o del credito, fa lo stesso) è intrinsecamente legata ai suoi effetti redistributivi. Non esistono soluzioni senza perdenti. Checché se ne dica dalle parti della Gabbia.

PS per tweet-geeks: un modello più complesso dovrebbe ovviamente includere generazioni sovrapposte, la distinzione tra investimenti pubblici e spesa corrente, mercati internazionali, etc. Il post punta solo l’indice su una delle contraddizioni più vistose del Barnard-pensiero.

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