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Concertare non vuol dire calarsi le braghe

Tommaso Nannicini
Democrazia/#partito democratico

Secondo Matteo Orfini, membro della segreteria nazionale del Pd, il governo non dovrebbe neanche lontanamente ventilare l’idea che la riforma del mercato del lavoro possa essere fatta senza il consenso dei sindacati. E, va da sé, la riforma della giustizia senza il consenso dei magistrati. Sono dichiarazioni politicamente pesanti, che meritano di essere approfondite e discusse. In verità, anche un bambino, abituato a contrattare il gioco da scegliere con gli amichetti, capisce che non si può far partire una contrattazione annunciando preventivamente che alcuni hanno un potere assoluto di veto. Perché significa rinunciare alla contrattazione e far decidere loro.

Può anche capitare che tu abbia l’obiettivo primario di raggiungere il consenso delle categorie coinvolte, ma di sicuro non lo puoi annunciare prima! l limiti di una concertazione così concepita sono lampanti. Dire che si può cambiare lo status quo solo con il consenso delle categorie che rappresentano lo status quo, significa dire che non si può cambiare un bel niente. È l’abc del riformismo. O meglio: è l’abc della politica. Dove risiederebbe il tanto sbandierato primato della politica a quel punto? E gli italiani potrebbero porsi la legittima domanda: perché dovrei mandare Orfini e il gruppo dirigente del Pd in parlamento? Mandiamoci direttamente la Camusso e De Magistris.

Portando il teorema Orfini alle sue logiche conseguenze, la politica dovrebbe permettere a qualsiasi gruppo sociale di autoregolarsi. E stop. È una versione aggiornata del corporativismo in salsa agrodolce. A quel punto sarebbe anche difficile imporre un sistema fiscale progressivo: le tasse sui ricchi? Per carità, facciamole decidere a loro. Il numero di licenze per le farmacie? Decida pure la politica, ma non senza il consenso dei farmacisti.

Dopo il problema di metodo, c’è quello di merito. Secondo Orfini, il governo Monti-Fornero-Passera sta gettando la maschera per mostrare il suo vero volto liberista. Almeno a parole. Se dalle parole si passerà ai fatti, non resterà che la piazza per difendere i diritti dei lavoratori. È questa la linea del Pd? L’appoggio al governo è condizionato al consenso dei sindacati e al fatto che non faccia granché in tema di riforma del lavoro? Secondo i dirigenti nominati da Pierluigi Bersani dopo l’ultimo congresso Pd, la linea è chiara e saldamente nelle loro mani. C’è chi propone ancora la riforma Ichino? Soltanto dei poveretti che non hanno letto i mirabolanti documenti programmatici del Pd, dove sta scritto che “la proposta Ichino è stata archiviata per sempre”. Le aperture di Violante al Pdl per discutere di giustizia? Non scherziamo: il responsabile giustizia del Pd è Andrea Orlando (che tra l’altro aveva detto cose simili  a quelle di Violante sul Foglio quasi due anni orsono).

Di solito, linea politica e incarichi dirigenziali, in un partito democratico, durano da congresso a congresso. A quanto pare, nel Pd sono “per sempre”. Viene da chiedersi se sia questa la linea ufficiale anche del segretario Pierluigi Bersani. Discutiamone per favore. Possibilmente in un congresso.

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