Linkiesta

Così destra e sinistra han fallito la prova del debito

Tommaso Nannicini, Isabella Rota Baldini
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La classe dirigente di centrodestra e centrosinistra che ha governato l’Italia nella Seconda Repubblica ha deciso di fare un ultimo giro di giostra. Vediamo allora come sono stati usati i giri precedenti, mettendo in fila qualche numero sulla finanza pubblica e sull’andamento della nostra economia e del suo mercato del lavoro. L’esercizio è scivoloso sul piano interpretativo, perché gli effetti della politica economica si fanno vedere con ritardo e sono difficili da attribuire a un governo. È la “legge di Schroeder”: puoi anche fare riforme che tutti riconoscono positive per la crescita economica, ma il riconoscimento può arrivare quando ti hanno già mandato a casa.

Ci proviamo lo stesso con un semplice esercizio in più articoli, partendo dalla finanza pubblica. A ogni maggioranza politica attribuiamo le statistiche economiche degli anni in cui è stata al governo dal 1 gennaio al 31 dicembre, buttando via gli anni di passaggio. Ci ritroviamo così con 6 anni per il centrodestra (dal 2002 al 2005, più il 2009 e il 2010) e con 5 anni per il centrosinistra (dal 1997 al 2000, più il 2007).

La Figura 1 riporta la media del deficit complessivo (in percentuale del pil) sotto i governi di centrodestra e centrosinistra. Le barre rosse mostrano chiaramente che il centrodestra ha avuto deficit più alti (con una media annua del 4,1 per cento) rispetto al centrosinistra (2 per cento). Facile prevedere le reazioni politiche di fronte a questi numeri. Il centrosinistra potrebbe rivendicare la credibilità di Ciampi e Padoa-Schioppa e l’impegno europeista per il rigore di bilancio. Il centrodestra potrebbe accusare la deriva rigorista della sinistra, succube dei diktat di Bruxelles e insensibile alle esigenze della crescita economica.

 

Ma il quadro cambia se si confronta la performance dei governi italiani con quanto accadeva in Germania negli stessi anni (le conclusioni sono le stesse se si usa come benchmark la media Ue o Ocse a seconda della disponibilità dei dati). Le barre blu, infatti, ci mostrano che la Germania ha seguito lo stesso ciclo di finanza pubblica. Gli scostamenti tra il deficit italiano e quello tedesco sotto i nostri governi di centrodestra e centrosinistra sono minimi: nel totale degli anni di governo il centrodestra ha avuto, in media, deficit leggermente più alti dello 0,4 per cento rispetto alla Germania e il centrosinistra dello 0,9 per cento. I più alti deficit assoluti del centrodestra si spiegano solo con le fasi in cui ha governato, dopo l’11 settembre 2001 e in mezzo alla Grande Recessione del 2008, quando anche le altre grandi economie alleggerivano il rigore di bilancio per far fronte alla congiuntura internazionale.

 

Il centrosinistra è stato più accorto nella gestione dei conti, con un avanzo primario del 5 per cento e una riduzione del debito di 2,9 punti percentuali, rispetto al centrodestra, che ha fatto registrare un avanzo primario del solo 0,8 per cento e addirittura un aumento del debito di 1,8 punti percentuali. Ma di nuovo le differenze svaniscono se si compara l’Italia con la Germania. La differenza fra centrodestra e centrosinistra, in particolare sui numeri del debito, è veramente minima: le due coalizioni, rispetto alla Germania, hanno avuto in media uno scostamento (negativo) di rispettivamente -2,4 e -2,7 punti percentuali. Entrambe hanno risanato più dei tedeschi, non sorprendentemente visto lo stock maggiore di debito nel caso italiano.

Insomma: le politiche di bilancio di centrodestra e centrosinistra non appaiono così anomale tra loro, una volta che si tenga conto delle fasi del ciclo economico. La vera anomalia è lo stock di debito pubblico del nostro paese, che era al 120,2 per cento del pil nel 1996 e al 120,7 per cento nel 2011. Nessuno ha saputo aggredire il vero nodo strutturale ereditato dalla Prima Repubblica, nodo che ci lega le mani nelle fasi in cui servirebbero politiche anti-cicliche e che drena risorse a investimenti produttivi per colpa delle spese per interessi.

Fonti dei dati: Eurostat

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