Eco di Bergamo

«Dal Def la conferma: questo è il governo della recessione»

Franco Cattaneo
Economia/#economia

I numeri e le scelte del discusso Documento di economia e finanza, approvato dal Consiglio dei ministri, confermano i limiti del «governo della recessione»: è in questi termini il giudizio critico del senatore del Pd Tommaso Nannicini, economista e già sottosegretario alla presidenza del Consiglio nell’esecutivo Renzi.

Il governo ha appena presentato il Def, qual è il suo giudizio?
«Il Def è nudo, nel senso che dopo tanta demagogia si ammette quello che l’opposizione ripete da mesi: le scelte insensate del governo ci stanno riportando in recessione e il debito pubblico torna ad aumentare. E mentre si continua a promettere la flat tax senza dire con quali soldi verrà finanziata, si certifica che per il momento con questo governo le tasse sono tornate ad aumentare».

Il quadro economico resta difficile.
«Il debito pubblico sta aumentando e non è una variabile indipendente rispetto alle capacità di crescita dell’economia. Purtroppo i numeri, nella loro crudezza, non mentono: questo è il governo della recessione. Quello che nella scorsa legislatura è stato fatto per superare la crisi viene ora messo a rischio dall’incertezza delle scelte di questo esecutivo che ha solo un orizzonte di breve periodo. Qualsiasi scelta è dettata dal fare spesa corrente e a pioggia, finalizzata all’incasso elettorale. Il futuro dell’Italia, per Lega e 5 Stelle, è una discarica dove nascondere le scorie radioattive delle loro promesse irrealizzabili».

C’è disagio al Nord, a cominciare dai ceti produttivi.
«La protesta, senza metterci il cappello, è positiva. Finalmente si muove una reazione non solo da parte del Pd, ma anche del tessuto sociale dinanzi a decisioni che rischiamo di pagare tutti. Questo non è il governo solo della recessione, bensì dei “no” dettati da posizionamenti ideologici il cui prezzo è pagato dal Nord e da tutto il Paese. Non sa trovare intese su scelte strategiche necessarie per non perdere opportunità di crescita, per esempio su come stare dentro la rete europea delle infrastrutture».

Parliamo di autonomia del Nord, questione che va e viene.
«Anche qui le prospettive non sono buone. Il tema, naturalmente, c’è tutto a favore di un rafforzamento in positivo per costruire spazi di spesa, di investimento e di regolazione più vicini alle caratteristiche del territorio, azionando le leve scritte nella Costituzione in modo da consentire a chi può correre di farlo. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare gli strumenti di perequazione e redistribuzione territoriali. Questo è un Paese che va tenuto insieme, non disgregato: lo si può fare con un welfare moderno e investimenti per la crescita, non con l’assistenzialismo dei 5 Stelle e la demagogia della Lega».

Qual è il tema forte del Pd alle Europee?
«Spero faccia capire che è interesse di tutti costruire una nuova Europa e starci da protagonisti, non come gli illusionisti che vogliono far saltare il banco costruendo muri. L’Italia ha bisogno di un’Europa forte se non vuole essere succube delle decisioni prese altrove, magari a Mosca o Pechino. L’Europa è necessaria, altrimenti non ci saranno politiche fiscali per contrastare la prossima crisi, non ci sarà la possibilità di gestire un fenomeno globale come i flussi migratori. Lo stesso accordo con la Cina relativo alla Via della seta può essere positivo se al tavolo ci sediamo come europei e non con la tentazione di svendere a saldo qualche porto o qualche gioiello di famiglia. Il fatto è, come dimostra l’escalation in Libia, che l’Italia è assente dallo scenario internazionale: un’afonia molto preoccupante».

Lei, alle primarie, ha sostenuto la candidatura di Maurizio Martina: che giudizio dà del nuovo Pd?
«Zingaretti ha ricevuto un mandato forte ed è un buon segno per il partito: mi auguro sia gestito nel migliore dei modi, perché abbiamo bisogno di un Pd che si apra alla società, rinnovando la propria classe dirigente diffusa sul territorio e che manifesti una visione del Paese chiara. Non possiamo permetterci un partito che dica qualcosa che non si capisca: serve un’identità forte e chiara, un messaggio esplicito che si vuole costruire un’alternativa al governo della recessione. E ancora non si vede».