«Non è stato un ripensamento il ritorno alla decontribuzione piena per il 2017 riservata agli under 29 e ai disoccupati con almeno sei mesi senza lavoro del Sud», dice Tommaso Nannicini, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e coordinatore di uno staff di economisti ed esperti che ha lavorato parecchio alla definizione della manovra attualmente in discussione in Parlamento. «Il ministro Poletti aveva già annunciato che nella legge di Bilancio 2017 ci sarebbero stati obiettivi di politica economica specifici per l’occupazione dei giovani. Il premier ha potuto annunciare il provvedimento dopo che l’iter della misura era stato formalizzato nella fase istruttoria con i pareri necessari, a cominciare da quello del direttore dell’Agenzia per il lavoro», aggiunge.
Soldi già del Sud, però…
«Certo. Sono risorse del Mezzogiorno che verranno spesi nelle regioni del Sud avendo dimostrato, come era già accaduto nella prima fase del Jobs act, che possono produrre risposte concrete e positive».
Ma solo per il 2017…
«Non è un numero a caso quello dei 12 mesi durante i quali la decontribuzione potrà essere attuata. È il completamento di un percorso iniziato nel 2015 con lo sgravio di durata triennale e proseguito lo scorso ano con una durata biennale. Da 36 a 24 a 12 mesi: è un disegno preciso, un decalage nell’utilizzo di questi incentivi che ha come obiettivo finale quello già annunciato tra gli impegni prioritari di politica economica del nostro governo: ovvero, il taglio strutturale nel 2018 del cuneo contributivo sul lavoro».
Quindi per la decontribuzione il 2017 sarà l’ultimo anno?
«Assolutamente sì».
C’è chi mette in guardia dal rischio di drogare, per così dire, il mercato del lavoro garantendo posti che l’attuale scenario economico in realtà non richiede: che ne pensa?
«Intanto, parliamo di un incentivo temporaneo che vuole dare un segnale forte al mercato del lavoro e contribuire a spingere in direzione dei contratti a tempo indeterminato. Noi crediamo che le imprese debbano determinare un nuovo equilibrio utilizzando anche questo strumento. Il mercato del lavoro al contrario sarebbe drogato se gli incentivi fossero strutturali».
La manovra sembra fata su misura per le imprese: incentivi, superammortamenti e così via…
«Mi fa piacere che me lo chieda perché di solito vengo accusato di avere fatto troppo per le pensioni e la lotta alla povertà. In realtà questa manovra spinge verso l’innovazione del sistema produttivo nazionale e la ricerca ma dà anche una risposta a chi è rimasto indietro, a chi non ce la fa. Una manovra che guarda all’offerta dal lato delle imprese e alla domanda da parte dei cittadini più deboli».
La povertà, appunto: è vero che l’ulteriore contributo di 500 milioni già annunciato nella legge delega non arriverà prima del 2018?
«Vero, ma il motivo è tecnico. Il percorso della delega si concluderà a fine 2017 e con questa legge porremo finalmente termine all’assurda anomalia che vede il nostro Paese, unico in Europa insieme alla Grecia, a non essere ancora dotato di una legge per affrontare in modo strutturale la lotta alla povertà assoluta, radicata sopratutto in alcune aree del Sud. Accanto ad essa abbiamo previsto il sostegno all’inclusione attiva: nel prossimo anno faremo partire il reddito di inclusione che coprirà le famiglie in povertà assoluta con minori a carico. E in questo percorso investiremo oltre al miliardo già previsto nella legge di Bilancio anche gli altri 500 milioni».
Basteranno, soprattutto nel Mezzogiorno, dove la povertà minaccia anche le giovani famiglie?
«Ovviamente dipenderà dalla disponibilità di ulteriori risorse che al momento non posso prevedere. Di sicuro nel Mezzogiorno la povertà ha tracimato dagli argini tradizionali e bisognerà tenerne conto anche se il fenomeno esiste anche in altre aree del Paese. Quando penso però alla legge delega non penso minimamente a politiche di carattere assistenziale, assolutamente no. Tanto è vero che la logica della legge è attiva: ovvero parla di risorse per misure anche di rafforzamento dei servizi del terzo settore che devono essere non solo funzionali alla ricerca di spazi di lavoro ma anche delle esigenze sanitarie ed educazionali dei minori. E aggiungo che con un altro intervento di governance, il fondo per il contrasto alla povertà educativa dei minori, puntiamo a investire altri 300 milioni: i bandi sono ormai imminenti».
Parliamo di pensioni: le ha dato fastidio l’accusa di avere pensato attraverso la quattordicesima e l’Ape solo ad una generazione di pensionandi e pensionati?
«Se devo essere sincero sì. Ma quando un governo come il nostro sceglie di intervenire, sapendo tra l’altro che la Corte dei Conti ha quantificato in 32 miliardi all’anno il valore dei risparmi degli interventi sulla previdenza, a certe critiche si va inevitabilmente incontro. Dovevamo tutelare le fasce di pensionati e pensionandi colpiti dai tagli orizzontali e pesanti di questi ultimi anni, sapendo perfettamente che bisogna tenere in equilibrio i conti e garantire un corretto rapporto tra le generazioni. Con la manovra si torna a investire sulla previdenza compiendo un’operazione di equità sociale».
Ma qual è il prossimo obiettivo? Riformare la riforma Fornero?
«Niente riforma della riforma, tutt’al più una revisione strutturale, come è scritto nel verbale dell’accordo governo-sindacati. Pensiamo soprattutto a due correttivi. Il primo: riconoscere che c’è un tema di adeguatezza delle pensioni per i giovani lavoratori che hanno carriere discontinue e redditi bassi. Dobbiamo riconoscere loro meccanismi innovativi come la proposta di una pensione contributiva di solidarietà che assicuri loro una sorta di tutela minima. Come? Creando uno zoccolo minimo garantito che è legato ai contributi versati ma anche all’età di uscita dal lavoro. Così tutti sapranno a quali condizioni sarà possibile avere un minimo di garanzia pensionistica».
E il secondo correttivo?
«Dobbiamo riconoscere che non tutti i lavori e i lavoratori sono uguali, per esempio rispetto alle speranze di vita che sono un cardine essenziale del sistema. Pensioni e demografia devono restare legate tra di loro, le regole del gioco non vanno cambiate: ma per avere equità sociale dobbiamo tener conto che non tutti hanno le stesse speranze di vita. Ma, come ho già detto, non sarà una controriforma: rispetteremo i cardini che hanno ispirato le riforme delle pensioni, da quella di Dini alle sucessive, ma con meccanismi che riconoscono la diversità dei fattori».
Equitalia: riuscirete a completare la transizione nel nuovo organismo dell’Agenzia delle entrate nei sei mesi annunciati dal premier?
«Ce la faremo sicuramente. Anzi ce la dobbiamo fare non solo garantendo i diritti dei lavoratori e le loro professionalità ma anche accompagnando al provvedimento una riforma complessiva delle agenzie fiscali e in particolare della nuova Agenzia delle entrate. Quest’ultima avvalendosi del nuovo ente della riscossione sarà un soggetto unico, autonomo ed efficiente che impone e riscuote le tasse. Una garanzia per i contribuenti onesti e una spinta ulteriore a combattere l’evasione fiscale attraverso l’incrocio delle banche dati. Basta con le norme vessatorie che indignano i cittadini in regola».