Le distorsioni fiscali introdotte dal vecchio “decreto crescita” nel mondo del calcio sono note a tutti (anche a chi ancora fa finta di non vederle per difendere interessi commerciali di corto respiro). Per anni, quell’agevolazione pari a una riduzione del 50% dell’imponibile Irpef dei calciatori in arrivo dall’estero ha rappresentato il regime fiscale di maggior favore nel panorama internazionale e ha creato distorsioni di non poco conto a sfavore dei nostri vivai e dei calciatori italiani. Il tutto con un conto pagato dai contribuenti italiani, per via delle minori risorse entrate nelle casse dello Stato. L’applicazione di quella norma, infatti, piuttosto che favorire il rientro in Italia di “campioni in fuga”, è stata sfruttata nella stragrande maggioranza dei casi per stipulare contratti con atleti stranieri anche in serie minori e nei settori giovanili, al mero scopo di far cassa a scapito, in particolar modo, dei giovani atleti formatisi in Italia, meno appetibili a causa del loro costo fiscale pieno. Finendo così col depauperare la crescita dei talenti italiani e l’ascensore sociale dei calciatori dalle categorie minori a quelle maggiori. Salvo poi piangere sul latte versato ogni volta che la nostra Nazionale non si è qualificata per qualche mondiale. Per carità, i problemi del nostro calcio non stavano solo dietro a quella norma, ma perché tenere in piedi una distorsione così evidente e controproducente?
Intendiamoci: noi siamo per la concorrenza internazionale e per la libera circolazione dei calciatori in Europa (possibile grazie all’allora coraggiosa battaglia di un calciatore, Jean-Marc Bosman). L’autarchia non ci piace neanche nel calcio. Ma la concorrenza deve essere leale. È inaccettabile che in Italia un calciatore straniero costi la metà di uno italiano, perché questo significa creare una competizione distorta che mina le basi di una libera concorrenza, leale e sul piano tecnico, tra atleti
italiani e stranieri. È come se ai 100 metri un atleta partisse
50 metri avanti.
Già nel 2022, grazie all’emendamento Nannicini al Senato e alla battaglia dell’Associazione Italiana Calciatori all’esterno, quella distorsione fiscale venne pesantemente ridotta.
Già da allora, lo sconto fiscale non può essere usato sotto i 20 anni, togliendo quindi la distorsione da vivai e primavere, e anche sopra quella soglia di età può essere usato solo per redditi sopra il milione, con l’idea che nel caso di campioni con certi reddito l’arrivo in Italia può portare un effetto positivo in termini di abbonamenti e merchandising. Ma è chiaro che lasciare la soglia di un milione, invece che rimuovere del tutto la distorsione, fu un compromesso parlamentare per far passare l’emendamento (non senza fatica e con continui assalti da parte di squadre di serie A e giornali dal colore rosa). Ha fatto bene quindi il governo e l’attuale maggioranza a cancellare definitivamente la
distorsione nel Consiglio dei ministri del 18 dicembre con il decreto legislativo sulla fiscalità internazionale (con il placet di tutte le commissioni parlamentari, che non hanno eccepito). Ma forse sarebbe più corretto dire “una parte del governo” visto che è seguito poi un tentativo negli ultimi giorni, sollecitato dal Senatore Lotito, nonostante il suo flagrante conflitto di interessi, di approvare una proroga della vecchia norma nel decreto “mille proroghe”, che è il provvedimento per eccellenza di chi non sa decidere. Tentativo fortunatamente (e meritoriamente) stoppato dall’interno della maggioranza nel Consiglio dei ministri del 29 dicembre. A questo giro, niente saldi per Lotito, anche se c’è da giurare che qualcuno riproverà a inserire la norma negli emendamenti parlamentari al mille proroghe. Chi ha a cuore il calcio italiano deve tenere alta la guardia e bloccare ulteriori tentativi di restaurazione.
Nel frattempo, c’è chi – grandi società in testa – grida al “disastro” per il calcio italiano. Quanta demagogia. Se qualcuno volesse aiutare davvero il mondo del calcio (tutto, dalla base al vertice) farebbe bene a introdurre un incentivo fiscale, casomai, per chi investe nei settori giovanili, per allenatori e formatori dei giovani, per i nuovi contratti
di lavoro sportivo, per il calcio femminile, per i primi tre anni di contratto di apprendistato.
Ci sono molti modi per aiutare i club italiani ed è bene ricordare, tra l’altro, che non sono pochi i provvedimenti già ottenuti dalla serie A in questa legislatura (estensione dei debiti con l’Agenzia delle entrate, lotta alla pirateria Tv, diritti televisivi a 5 anni, etc.). Vedremo che risultati sapranno portare a casa le nostre società grazie ai benefici pagati
dalla collettività. Ovviamente, facciamo tutti il tifo per le nostre squadre. Sperando che sappiano ritrovare la strada della competitività perduta sul piano internazionale. Ma quella strada non passava certo dal decreto crescita (e non passerebbe da una sua maldestra restaurazione). Il Milan, grande sostenitore del decreto crescita con il suo amministratore delegato, ha schierato il 90% di stranieri in Champions. Risultato? Eliminato al primo turno. Eppure c’è ancora chi sostiene che il decreto crescita aiuta la competitività internazionale del nostro calcio. Of course.