La Repubblica

Di Maio non licenzia il Jobs act ma lo usa

Marco Ruffolo
Lavoro/#jobs act

«Mi rifiuto di aderire alla neolingua del ministro del Lavoro. Lasciamo perdere l’espressione “dignità” per battezzare il decreto appena approvato dal governo. Lo chiamerei piuttosto decreto “svuota-cassetti”: sembra che siano andati a chiedere ai vari burocrati di tirargli fuori qualche proposta, rimasta non a caso nei cassetti. È un provvedimento lontanissimo dai problemi del mondo del lavoro». Tommaso Nannicini, senatore Pd, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo Renzi, non ci sta a sentir dire che il nuovo decreto «restituisce dignità ai lavoratori».

Limitare l’uso dei contratti a termine significa ridare dignità a chi lavora?
«Questo governo ha la memoria corta: ha dimenticato le centinaia di migliaia di co.co.co. e co.co.pro., di lavoratori parasubordinati, di finte partite Iva degli anni passati, che proprio il Jobs Act ha iniziato a ridurre. Erano tutte forme di lavoro prive di tutele assicurative e previdenziali. Tutele che i contratti a termine, subentrati in buona parte al posto di quei lavori, almeno garantiscono. Quello delle finte collaborazioni era il vero precariato».

Tuttavia, fare in modo che i contratti a termine siano l’eccezione e quelli a tempo indeterminato la regola, è sempre stato l’obiettivo degli stessi governi a guida Pd. Non è così?
“Certamente. I contratti a termine e in somministrazione dovrebbero rispondere a esigenze effettivamente temporanee, e gli abusi di questi strumenti vanno sicuramente combattuti. Ma ci sono modi migliori di quelli escogitati dal decreto, i quali aumenteranno solo il contenzioso».

Si riferisce all’obbligo per le aziende di reinserire dopo 12 mesi le causali, le motivazioni dell’uso di quei contratti?
«Sì, in questi ultimi anni il contenzioso si è ridotto dell’80%. Ora, con il ritorno delle causali, l’unico lavoro in più lo avranno gli avvocati».

Che propone allora il Pd?
«Finché un datore di lavoro utilizza contratti a termine per poco, niente da dire. Ma se c’è un uso ripetuto di rinnovi e i contratti non vengono stabilizzati, proponiamo una buonuscita per i lavoratori. Se invece avviene la stabilizzazione, bisogna dare all’imprenditore una decontribuzione permanente».

Tuttavia, gli incentivi dati quest’anno a chi assume stabilmente i giovani non stanno dando i risultati sperati. E i contratti a termine, unici ad aumentare, diventano in Italia più che altrove delle vere e proprie trappole.
«Per questo bisogna pensare a incentivare strutturalmente il lavoro stabile, cosa che non fa questo decreto. Se qualcuno pensa che le nuove norme libereranno i giovani dalla trappola dei lavori a termine, sbaglia di grosso».

È vero che questo decreto licenzia di fatto il Jobs act?
«Non è vero. L’impianto del Jobs act, basato principalmente sul contratto a tutele crescenti, resta saldamente in piedi. Si toccano solo i minimi e i massimi degli indennizzi in caso di licenziamento senza giusta causa. Anzi, Di Maio dovrebbe ringraziare il Jobs act che gli ha consentito di spingere un tavolo di contrattazione collettiva per i lavoratori delle piattaforme digitali. Per ora solo l’occasione per qualche foto su Instagram. Se fa sul serio, invece che cancellarlo, il Jobs act dovrebbe estenderlo: applicando alle piattaforme digitali le norme sulle collaborazioni organizzate dal committente. Il Pd è pronto a discutere le misure per combattere il vero precariato, il dumping salariale, i contratti pirata, l’anarchia dei subappalti. E a proporre il minimo salariale, ignorato dal decreto. Noi facciamo proposte concrete. Il governo, da una parte sforna come primo atto un decreto tra l’inutile e il dannoso, dall’altra continua a fare proclami, tra tasse, pensioni e reddito di cittadinanza, che poi il ministro Tria puntualmente smonta. Un teatrino lontano dai problemi delle persone».