Professore, dopo il Jobs Act, che punta tutto sul contratto a tempo indeterminato, ora il governo punta sullo Statuto delle partite Iva. È la correzione di uno sguardo distorto che vedeva il mercato del lavoro dominato dai rapporti subordinati?
Non c’è nessuna correzione perché lo sguardo non è mai stato distorto. Il Jobs Act e lo statuto del lavoro autonomo stanno dentro la stessa visione riformatrice, non per niente i testi sono stati scritti in parallelo. Poi, è chiaro che ogni provvedimento ha i suoi tempi. Solo dopo che il Jobs Act ha tratteggiato una nuova linea di confine tra disciplina del lavoro subordinato e del lavoro autonomo, i tempi si sono rivelati maturi per un provvedimento organico che parlasse agli oltre due milioni di lavoratori autonomi, ordinisti e non. Quelli veri, finalmente asciugati dalle finte collaborazioni e dalle finte partite Iva che di fatto svolgono un lavoro dipendente.
E sul regime dei minimi? Nella stabilità del 2015 si era fatto un pasticcio.
Beh, rispetto alla stabilità per il 2015, il governo ha ammesso subito che si trattava di misure poco meditate e vi ha posto rimedio con il milleproroghe, in attesa di un intervento strutturale. Adesso, la promessa è stata mantenuta: il nuovo regime dei minimi inserito nella stabilità per il 2016 è un tassello importante dello statuto del lavoro autonomo. Ed è un intervento che coniuga semplicità, grazie al regime forfaittario, e incentivi fiscali, grazie all’aliquota agevolata del 5% per chi avvia un’attività, cercando allo stesso tempo di non creare un effetto soglia permanente che scoraggi la crescita professionale. È per questo che l’aliquota, sempre agevolata, passa al 15% dopo la fase di startup. Naturalmente, il tema del fisco per gli autonomi non riguarda solo la questione dei “minimi”. Proprio per questo mi auguro che la discussione parlamentare sullo statuto del lavoro autonomo consenta di introdurre ulteriori semplificazioni fiscali per questo mondo.
Nel ddl però mancano due tasselli importanti: equo compenso e previdenza. Con il blocco dell’aliquota contributiva al 27% anche per quest’anno, il discorso è rimasto in sospeso.
Sono due temi molto diversi. Come dicevo, il Jobs Act delinea una linea di demarcazione netta tra lavoro subordinato e autonomo, senza creare zone grigie come, per esempio, quella del lavoro economicamente dipendente. È grazie a questa operazione di pulizia che ci possiamo permettere di disegnare le tutele del lavoro autonomo senza cucirle addosso al lavoro subordinato. Corporature diverse hanno bisogno di abiti diversi. Per come è stato tradizionalmente posto il tema dell’equo compenso rischia di cadere in questo errore di prospettiva. Per quanto riguarda la previdenza dei lavoratori autonomi che ricadono nella gestione separata Inps, dopo l’intervento tampone di quest’anno, una misura strutturale andrà senz’altro trovata nella prossima legge di stabilità. Ma non è solo un problema di coperture finanziarie.
State pensando a un progressivo livellamento con l’aliquota contributiva più bassa di artigiani e commercianti? Siamo sicuri che l’aliquota ottimale per la gestione separata sia quella di cui godono artigiani e commercianti?
Forse sì, adesso che il mondo di freelance e partite Iva è stato ricondotto nell’alveo che gli è proprio del lavoro autonomo. Ma forse non lo è neanche per tutti gli autonomi, se si guarda anche all’obiettivo di garantire pensioni solide in futuro. È un tema cruciale per il futuro: come individuare un peso contributivo che non uccida la crescita economica e allo stesso tempo garantisca pensioni adeguate. Dobbiamo discuterne tenendo bene a mente tutti i termini del problema. Non riduciamo tutto alla richiesta (o alla concessione) di qualche mancia.
Il ddl prevede un tempo massimo per i pagamenti degli autonomi, ma non prevede sanzioni in caso di pagamenti ritardati. Non si rischia così di vanificare la norma?
Il ddl prevede che a tutti i lavoratori autonomi si applichi il massimo della tutela contro i ritardi dei pagamenti che il nostro ordinamento preveda, estendendo le garanzie della legge 231/2002 a tutela delle transazioni commerciali. Che altro si dovrebbe fare, introdurre ammende amministrative o addirittura sanzioni penali? Mi sembra sproporzionato.
È possibile, invece, immaginare un sostegno al reddito quando il freelance è senza lavoro?
Attenzione a non pensare alle tutele del lavoro autonomo con lo sguardo rivolto solo al lavoro subordinato. I finti autonomi, di fatto alle dipendenze di uno o più datori, dobbiamo tutelarli riconducendoli sotto la disciplina del lavoro subordinato, come fa il Jobs Act. Ma ai veri autonomi dobbiamo dare gli strumenti per competere sul mercato, rafforzandoli e aiutandoli di fronte rischi esogeni. Il rischio “disoccupazione” è tipico del lavoro dipendente, per gli autonomi c’è piuttosto un rischio legato a cali di attività e alla volatilità del mercato. Se vogliamo porci questo problema, servono strumenti innovativi. E di sicuro non è pensabile introdurli senza uno schema assicurativo, cioè senza far pagare una qualche forma di contribuzione per la nuova prestazione. Ha senso farlo? Parliamone.
I dati Istat dicono che gli indipendenti sono calati di oltre 54mila unità a dicembre 2015, 138mila in meno in un anno. Come ci spieghiamo questi numeri?
È presto per dire quali siano i fattori causali dietro al calo dei lavoratori indipendenti, ma una diminuzione del genere era uno degli obiettivi del Jobs Act: favorire la trasformazione delle finte collaborazioni e delle finte partite Iva in contratti a tempo indeterminato. Mi auguro che dietro a questi numeri ci sia proprio questo fenomeno. Dal 1 gennaio 2016 scatta l’estensione della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni autonome etero-organizzate.
Per intendersi, prima del Jobs Act, era ammissibile richiedere a un lavoratore autonomo la presenza presso i locali del committente o il rispetto di orari stringenti, dal 1 gennaio questo non è più possibile. E poi a dicembre scadeva l’esonero contributivo totale per tre anni a favore dei neo-assunti. C’era da attendersi che il combinato disposto del bastone (l’etero-organizzazione) e della carota (l’esonero contributivo) favorisse la trasformazione di finte collaborazioni autonome in contratti a tempo indeterminato proprio a dicembre. Ovviamente, studi e dati più approfonditi ci diranno se è stato così o ci sono altre ragioni dietro a quei numeri.