La verità è che la terapia shock possiamo scordarcela. Non ci sono le condizioni perché le attuali forze politiche realizzino insieme i tagli necessari per recuperare così tante risorse. E non ci sono i tempi.
Per altri (compresi molti politici a corto di idee), basta partire dal documento dei saggi. Ma quello che lì manca è un’individuazione delle priorità. Possibile che un governo di un anno o poco più, formato da partiti che al momento sanno solo litigare sulla natura politica o tecnica dei futuri ministri, possa realizzare riforme a tutto campo di cui si parla da anni? Il documento rilancia molte proposte efficaci, ma servono priorità nella consapevolezza che ci aspetta un governo ponte. La domanda è ponte verso dove. Si deve decidere quale governance costituzionale ed economica lasciare in eredità alla Terza Repubblica.
Primo: dare ossigeno all’economia. Mentre i partiti, spronati da Napolitano, realizzeranno le necessarie riforme istituzionali, e il governo progetterà (pochi) interventi strutturali, sarà inevitabile completare misure a cui l’esecutivo uscente ha già messo mano per dare ossigeno all’economia, dal pagamento dei debiti delle amministrazioni pubbliche al salario di produttività, dal rifinanziamento degli ammortizzatori sociali all’accesso al credito per le imprese. Su questi punti, tutti i partiti concordano. Si tratterà solo di fargli accettare i tagli con cui recuperare le risorse necessarie.
Secondo: fare la nostra parte in Europa. Il documento dei saggi è molto efficace nel delineare una “tutela dei risparmiatori” che tenga ferma una linea di rigore che niente ha a che fare con l’austerità. L’Italia deve presentarsi con i conti in ordine, proprio per mettere tutto il suo peso in Europa affinché i paesi del centro accettino un po’ d’inflazione in più e un euro leggermente più debole (a patto che la Fed lo consenta) per dare respiro ai paesi della periferia. Solo se faremo capire ai nostri interlocutori che abbiamo capito la lezione della Prima Repubblica e non intendiamo produrre crescita con spesa corrente in disavanzo, avremo la credibilità necessaria per riprendere in mano le sorti dell’economia europea.
E non solo: di fronte a certe semplificazioni da keynesismo per principianti, per cui sembra che per far ripartire l’economia basti più spesa pubblica a livello europeo, l’Italia potrebbe farsi portatrice di una proposta tanto semplice quanto rivoluzionaria. Basta con interminabili vertici europei in cui gli egoismi nazionali cercano di accaparrarsi risorse. Si convochi subito un vertice europeo straordinario per lanciare un piano di valutazione di ogni euro di spesa. Prima, noi europei, tutti insieme, capiamo come stiamo spendendo i nostri soldi. Dopo, ci porremo il problema di spendere di più e dove.
Terzo (e non ultimo): piantare i semi delle riforme. È questa la madre di tutte le priorità, se non vogliamo sprecare un’altra occasione. Il governo ponte dovrebbe avere l’ambizione non di fare tutto, ma di creare quelle “infrastrutture” necessarie affinché tutti i governi che verranno dopo di lui possano disporre degli strumenti per disegnare, implementare e valutare le politiche pubbliche nel migliore dei modi. Dopodiché, se falliranno di nuovo, sarà colpa loro.
Facciamo qualche esempio, per intenderci. Mutuando il Freedom of Information Act statunitense, tutte le amministrazioni statali, regionali e locali (ivi inclusi gruppi parlamentari e consiliari) siano obbligate a rendicontare ogni euro ricevuto e utilizzato. E l’obbligo di totale trasparenza riguardi anche gli enti che posseggono dati necessari per disegnare le scelte pubbliche. Come si fa a parlare di esodati senza conoscere la natura del problema? Come si fa a parlare di pensioni d’oro senza conoscere i rendimenti impliciti di ogni assegno? I dati esistono, ma l’Inps li utilizza in assoluta segretezza e con finalità politiche. E ancora: quando si parla di debiti delle pubbliche amministrazioni, non ci si limiti a liquidare il pregresso. Si ridisegni la governance della finanza locale, puntando sulla cassa e non solo sulla competenza, e creando un sistema di monitoraggio continuo dei debiti accumulati.
Su scuola, università e pubblica amministrazione (settori dove il governo uscente ha fatto poco e a volte male), le “infrastrutture” da completare sono sistemi credibili e condivisi di valutazione: degli studenti, delle scuole, dei dipartimenti, dei ricercatori, di ogni struttura amministrativa. Per poi garantire la massima autonomia nel raggiungimento degli obiettivi e introdurre elementi incentivanti, a partire da forti differenziazioni salariali. E gli esempi potrebbero continuare: dal completamento della riforma dell’Isee, per progettare aggiornati strumenti di universalismo selettivo, alla creazione di un fondo permanente per la riduzione delle imposte, cui destinare annualmente i recuperi sul fronte anti-evasione. Non si parte da zero e ci sono i tempi per rilanciare (bene) queste riforme.
Questi sono solo alcuni dei possibili obiettivi di un governo ponte. Il rischio da evitare è quello di una costruzione che si fermi a metà per la litigiosità dei protagonisti. Prima di avviare i lavori, tutti capiscano che un’interruzione porrebbe il paese in una situazione ancora più drammatica dell’attuale. A questo giro, una volta iniziato, il ponte va finito. E bene. Altrimenti meglio lasciar perdere.