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Globalizzazione: la piattaforma del PSE

Tommaso Nannicini
Europa/#PSE

A termine della riunione dell’Internazionale Socialista (IS) svoltasi a Roma ad inizio 2003 (20-21 gennaio), le forze del socialismo europeo hanno diffuso una serie di documenti che cercano di fornire un quadro sufficientemente organico delle posizioni dell’IS in tema di globalizzazione. I quattro documenti – qui riprodotti nella loro traduzione dall’inglese – fanno il punto sulle proposte socialdemocratiche per l’equità e la sostenibilità dello sviluppo, forniscono un bilancio dei passati vertici delle istituzioni internazionali, e gettano un primo sguardo sugli appuntamenti futuri.
Il primo documento è un messaggio congiunto al Forum Sociale di Porto Alegre e al Forum Economico di Davos (“Message to the World Social Forum and the World Economic Forum”). In esso, vengono richiamati tre capisaldi dell’iniziativa dell’IS: 1) i dettami della Millennium Declaration delle Nazioni Unite nel 2000 (dove, accanto alla declinazione dei principi fondamentali di libertà, eguaglianza, tolleranza, rispetto della natura e comune responsabilità cui dovrebbero informarsi le relazioni internazionali del XXI secolo, si enucleano alcuni obiettivi quantitativi in tema di lotta al sottosviluppo e alla povertà, come il dimezzamento entro il 2015 della proporzione di persone che nel mondo vivono con meno di un dollaro, soffrono la fame o non hanno accesso ad acqua potabile); 2) le prospettive indicate dal vertice WTO di Doha nel 2001 (dove, lasciandosi alle spalle l’insuccesso del vertice di Seattle del 1999, si è cercato di aprire una nuova fase del processo di liberalizzazione del commercio, ispirata al ricongiungimento tra apertura degli scambi e obiettivi di sviluppo); 3) le conclusioni del summit di Johannensburg sullo sviluppo sostenibile nel 2002 (con al primo posto il duplice obiettivo di una crescita economica equa sul piano sociale e sostenibile sul piano ambientale).
Nel documento dell’IS, accanto all’enunciazione di proposte già al centro del dibattito (cancellazione del debito; rilancio quantitativo della cooperazione internazionale; accesso ai farmaci nei paesi poveri; lotta ai paradisi fiscali), non mancano sottolineature dal carattere innovativo. L’enfasi sul rafforzamento del NEPAD (“The New Partnership for Africa’s Development”), embrione istituzionale di una nuova prospettiva di cooperazione per l’Africa, fa intravedere l’obiettivo di rinnovate regole di “condizionalità”, che spostino l’accento sul rispetto dei diritti democratici e di buone regole di governance interna. Il richiamo all’estensione di standard del lavoro e di tutela ambientale, che siano
“non-protezionistici”, rende esplicito che il motore di ogni proposta in questo campo deve essere l’interesse delle nazioni meno sviluppate. I paesi poveri, nella fase di sviluppo in cui si trovano, non sono in grado di finanziare da soli il costo di estesi diritti materiali, che non devono essere imposti mediante clausole unilaterali. Infine, è da notare come il cambiamento strutturale delle economie innescato dalla globalizzazione non venga messo in discussione, ma ci si preoccupi di rafforzare gli strumenti di welfare e workfare capaci di aiutare le persone ad “adattarsi al cambiamento”.
Il documento si chiude con la presentazione di dieci punti chiave: una sorta di manifesto socialdemocratico sulla globalizzazione. A questo proposito, sarebbe utile una sua lettura comparata con il manifesto di Porto Alegre: forti punti di contatto sulle finalità di giustizia sociale e di estensione delle opportunità; significative diversità nell’analisi della realtà e nell’approccio alla via per lo sviluppo.
Il secondo (“Declaration on the World Economy”) e il terzo documento (“Declaration on Global Policy 2003”) scendono dal piano dei principi e degli obiettivi a quello delle valutazioni sulle prospettive, sforzandosi di calare nel contesto della situazione economica internazionale e dell’attuale struttura di governance globale gli obiettivi di “globalizzazione dei diritti” enunciati nel manifesto. Si guarda al prossimo vertice
G8 di Evian come l’occasione per il rilancio di una forte iniziativa verso la crescita dell’Africa, la stabilità internazionale e l’allargamento dei diritti politici e civili (andando al di là di un dibattito molto italiano sull’utilità o sulla legittimità del G8). Si individua nel summit mondiale sulla Società dell’Informazione (WSIS) di Ginevra la sede per la lotta al digital divide e alle nuove disuguaglianze tecnologiche. Si guarda con speranza ed impegno al prossimo vertice WTO di Cancan. L’obiettivo dell’IS è reso esplicito: “più liberalizzazione del commercio, non meno”. E ancora: “una WTO incisiva, non una impotente”. L’IS, insomma, intende farsi paladina di un programma di riduzione (anche unilaterale) del protezionismo verso i prodotti dei paesi meno sviluppati.
Il quarto documento, infine, non è altro che una riproposizione dell’analisi dell’IS sulle conclusioni del recente vertice mondiale di Johannensburg sullo sviluppo sostenibile (“Draft Statement on the Outcome of the World Summit on Sustainable Development”). Si sottolineano gli obiettivi raggiunti e i ritardi accumulati, con riferimento al ruolo propositivo che l’IS intende giocare nel processo aperto dal summit. Che giudizio complessivo si può azzardare sulla piattaforma dell’IS in tema di equità e sostenibilità dello sviluppo, così come emerge dai quattro documenti riprodotti? Gli elementi positivi non mancano: si tratta di una strategia articolata e condivisibile, che enuclea proposte importanti e spesso innovative. Tuttavia, è utile sollevare anche alcuni elementi critici. O meglio: alcuni spazi vuoti che aspettano di essere riempiti. Il primo concerne l’implementazione della piattaforma. Su questo punto, si registrano ancora un ritardo di elaborazione e una mancanza di coraggio. A differenza del movimento new global o di ONG impegnate su questi temi, le forze dell’IS ricoprono (o ambiscono a ricoprire) responsabilità di governo nei loro paesi: perché, allora, non spendere qualche parola in più su quello che i governi del centrosinistra potrebbero già fare in concreto (singolarmente o all’interno di coalizioni internazionali), superando ogni logica di mero interesse nazionale di breve periodo? Il secondo spazio da riempire riguarda i fondamenti ideali della piattaforma. Gli obiettivi e le proposte dei documenti sono importanti, ma manca una cornice ideale che dia slancio a tutto lo sforzo di elaborazione politica. Per esempio, perché non declinare le proposte dell’IS – riecheggiando l’insegnamento di Amartya Sen –in termini di allargamento delle libertà politiche, economiche e sociali sul pianeta? In ogni caso, questi documenti devono essere letti come un primo passo importante sulla giusta strada. La strada che dovrà condurre le forze della sinistra occidentale a elaborare una precisa piattaforma riformista in tema di sviluppo.