Il Foglio

«Il Paese non lo cambi da Roma ma da Pontremoli»

David Allegranti
Democrazia/#pd#politiche

«Vedo che c’è chi è già alla ricerca di Responsabili per fare un nuovo governo con Matteo Salvini premier. Io piuttosto li chiamerei irresponsabili», dice al Foglio Tommaso Nannicini, senatore, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Matteo Renzi. «La Lega dei ceti produttivi e della concretezza di governo padano non esiste più, chi la cerca vede un film che non ha nessuna rispondenza con la realtà. Salvini è altrove, ha un progetto politico chiaro. Pensare che Salvini possa essere premier e che l’Italia stia nell’euro è come pensare a un ossimoro. Favorire questa operazione sarebbe irresponsabile e terribile, al pari di ciò che vediamo oggi. Per questo serve un’alternativa». E l’alternativa va cercata in un nuovo Pd.

Nannicini sosterrà Maurizio Martina al congresso e in questa intervista spiega al Foglio perché. «Il Pd attuale non basta, ma chi si illude di costruire magicamente l’alternativa dal nulla distruggendo tante energie e tanta voglia di fare politica che ancora c’è nel Pd, sta facendo un danno non solo al nostro partito ma al paese». Per carità, dice Nannicini, «bisogna andare oltre il Pd, lanciando una costituente di tutti i progressisti e democratici italiani. Spero che il congresso sia la fase uno di questa grande costituente». Il Pd dunque va superato? «Va messo tutto in discussione. L’esito poi lo decidiamo insieme, ma serve un nuovo soggetto politico. Non per forza deve esserci la fine del Pd o l’apertura di un nuovo fronte popolare o di una nuova Unione; l’ingegneria politicista mi appassiona poco. Ma dobbiamo guardare oltre, puntando sul rinnovamento delle idee e della classe dirigente diffusa. Il paese non lo cambi da Roma ma da Pontremoli. Il cambiamento non è un decreto legge ma persone che lo portano avanti ogni giorno e in ogni territorio, con la buona politica». Senz’altro, però, il Pd «non può morire di risentimenti o di guerre tra bande». Ma i risentimenti dove li vede? In qualche ex leader di partito? «Sono ovunque, anche dentro di me. Tutti veniamo da un percorso politico del quale assaporiamo la bellezza ma anche le cicatrici. Adesso non è il momento di cercare colpevoli, se qualcosa è andato storto non mi interessa sapere di chi è la colpa. Mi interessa di più capire chi ha voglia di uscire da questa situazione. Io questa voglia ce l’ho e voglio fare politica insieme a chi ce l’ha». Ce l’ha con Matteo Renzi che accusa gli altri di non averlo sostenuto o con quelli che oggi dicono che è tutta colpa sua? «Non ce l’ho con nessuno. O meglio, ce l’ho con chi usa argomenti pre-politici come “è tutta colpa di Renzi” – è sbagliato dirlo, perché non è vero – e con chi dice che “è tutta colpa di chi non ha fatto lavorare Renzi” – è sbagliato pure questo. Tutti abbiamo fatto parte di un progetto collettivo, che ha fatto grandi cose per il paese ma ha perso anche molti treni. Se abbiamo perso il 4 dicembre e poi il 4 marzo non è per la meteorologia e perché pioveva, ma perché c’era un sentimento che non abbiamo intercettato, cose che non abbiamo capito né risolto. Detto questo – spiega Nannicini – io sono molto orgoglioso della nostra stagione di governo ma provo anche molta inquietudine per capire che cos’è andato storto. Orgoglio e inquietudine possono stare insieme. Essere solo orgogliosi significa aver nostalgia per il paradiso perduto dei mille giorni, nella speranza che il paese si svegli dal delirio e torni ad acclamarci. Ma questa è pura conservazione. Allo stesso modo, l’autoflagellazione non fa giustizia di una storia e di una stagione che ha rinnovato la sinistra e scritto una pagina importante. Dobbiamo uscire da questo bipolarismo secondo il quale, da una parte, siamo stati i meglio e ci hanno fregato le fake news e, dall’altra, va tutto male e dobbiamo riavvolgere il nastro per tornare al Pds. Dobbiamo andare oltre, con le nostre energie e le nostre cicatrici».

Nannicini vede nella proposta di Martina questi elementi: «C’è la voglia di andare oltre, di trovare nuove risposte e di superare vecchi schemi mentali. Perché la sinistra deve portare avanti chi è nato indietro, poi chi se ne frega se serve più Stato o più mercato, più redistribuzione o più concorrenza. E c’è anche la voglia di una leadership diffusa e mite, per dirla alla Norberto Bobbio. Non dobbiamo per forza inseguire lo stile delle leadership machiste, urlate. Alla lunga la mitezza paga. Il che non significa moderatismo, serve radicalità delle idee e fermezza dei valori. Con calma e pazienza dobbiamo riannodare il dialogo con la società. Stare al fianco delle persone. Per fare questo serve, appunto, una leadership collettiva. Martina l’ha detto lanciando la sua candidatura: con me si candida una squadra. Che non sarà una foto di gruppo ma l’idea del partito che abbiamo in mente. Vogliamo cambiare il Pd per cambiare il paese. Negli ultimi anni abbiamo provato a cambiare il paese senza cambiare il partito. Dobbiamo aprirci e selezionare la classe dirigente in maniera nuova. Per questo – dice Nannicini – porteremo avanti la proposta di eleggere il 50 per cento degli organismi nazionali direttamente dai circoli e dagli amministratori senza passare dalle affiliazioni e dalle scelte congressuali. Non perché non servano le correnti di idee, ma per dare spazio nella dirigenza nazionale a chi viene dai territori, investendo sul loro protagonismo. È un modo per intercettare nuove energie, oltre correnti e capibastone. Vede, io non credo alla storiella che ci raccontiamo, secondo la quale il 4 marzo al Sud una persona su due ha votato il M5s perché non vedeva l’ora di mettersi in fila per ricevere il reddito di cittadinanza. Molte persone si erano stufate di stare in fila in un rapporto clientelare con la politica, che a volte era anche la nostra».

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