L’intergruppo con Pd, Leu e 5 Stelle non deve essere una manovra politica che guarda al passato.
L’intergruppo formato al Senato tra Leu, Movimento 5 Stelle e il Pd alla vigilia del voto per la fiducia al premier Mario Draghi “ancora non si è ben capito cosa sia”. Non è questione di lana caprina o di gergalità parlamentari, è questione di “cogliere il senso di un’operazione di cui al momento non sono chiare né la forma né la sostanza”. Tommaso Nannicini, senatore dem, a Formiche manifesta le sue perplessità e commenta il discorso del capo dell’esecutivo al Senato.
Nannicini, il maxi rassemblement parlamentare, che peraltro ha già raccolto il plauso dell’ex premier Giuseppe Conte, cosa farà?
Confesso che devo ancora capire di cosa stiamo parlando. Gli intergruppi parlamentari nascono per approfondire determinati temi e sono aperti alla libera adesione di tutti i parlamentari in maniera trasversale. Non mi pare questo il caso. Se si parlasse di un coordinamento tra i gruppi parlamentari di Pd, M5s e Leu sarebbe invece un’altra cosa, ma qualcuno dovrà spiegarne la forma e la sostanza.
E nel caso specifico lei per quale linea propende?
La cosa certa è che se si trattasse di un’operazione politica che mira a creare un’alleanza strutturale tra Pd, Movimento 5 Stelle e Leu, mi troverei in disaccordo. Sarebbe una fuga all’indietro, un’operazione ‘passatista’ retaggio del Conte bis. È tempo, invece, che il Partito Democratico lavori e investa sulla sua identità e sulla sua autonomia.
In che modo può farlo?
Non è il momento delle alchimie politiche, delle alleanze verticistiche nei palazzi romani. Casomai è il momento delle alleanze sociali. Non lasciare ad altri la rappresentanza di donne, giovani e partite Iva, di chi ha subito i costi maggiori della pandemia. Dialogare col sindacato per far avanzare i diritti in un mondo del lavoro che nei prossimi anni cambierà alla velocità della luce. Dobbiamo dare risposte chiare alle esigenze che il Paese reclama a gran voce, partendo dalla visione e dalla concretezza che ho ritrovato nel programma del premier Draghi.
Il Partito Democratico però, ora si trova al governo con forze politiche diametralmente opposte, come la Lega.
Vero. Ma dobbiamo capire che il terreno di gioco è cambiato radicalmente. Il Presidente della Repubblica Mattarella, dinnanzi allo stallo della politica, ha deciso di varare un governo di salvezza nazionale sganciato da formule politiche. Non c’è nessuna alleanza con le altre forze politiche, solo l’esigenza di uscire dall’impasse provocato dalla pandemia. Casomai c’è da riscoprire lo spirito repubblicano evocato da Draghi stesso.
Tuttavia la politica e il governo dovranno assumere decisioni.
Non mi nascondo dietro a un dito. Sono consapevole che la posta in gioco sia alta e che non sarà facile far coesistere forze politiche così differenti. A maggior ragione credo che il Pd in questa fase debba capire ciò che vuole essere. Non avrebbe senso impantanarsi in compromessi infiniti, prima con una maggioranza che non esiste più come quella giallo-rossa, e poi con la nuova maggioranza di salvezza nazionale. Il Pd faccia il Pd e porti avanti le sue idee, al governo e in Parlamento.
Secondo lei su quali temi si riuscirà a convergere con maggiore facilità con le altre forze al Governo?
Credo che tutti convengano sulla necessità di un piano vaccinale il più efficace e rapido possibile. Allo stesso modo ritengo che ognuno di noi voglia un Recovery Plan che si inserisca nella cornice europea della transizione ecologica e digitale, facendo in modo che gli investimenti vengano fatti presto e bene.
Scuola, Lavoro, Fisco, riforma della Pubblica amministrazione. Mario Draghi ha marcato molto su questi temi a lei cari. Che idea si è fatto delle strategie che il premier ha in mente per l’impostazione del lavoro dell’Esecutivo?
Prima di tutto voglio dire che dalle parole di Mario Draghi, finalmente, abbiamo colto l’essenza di un leader che ha chiare quali sono le priorità del Paese, ma che soprattutto ha una visione a lungo termine e non si limita a recitare una lista della spesa. Sentir parlare di lavoro che cambia e del fatto che non si possa continuare a distribuire fondi a pioggia è un cambio di prospettiva enorme. Sentir parlare di valorizzazione della formazione e degli istituti tecnici idem. Sulla scuola, pensare all’inserimento di nuove discipline, dire che orari, calendari e luoghi vanno rivisti di fronte al dramma della povertà educativa, è un cambio di passo fondamentale. Immaginare a una riforma del fisco che sia complessiva e organica, basata su un metodo che preveda il coinvolgimento di esperti, forze politiche e parti sociali, ognuno con il suo ruolo, sottende a un metodo nuovo per il Paese. Peraltro nell’ottica di un fisco molto più equo, altro che flat tax. Così come è rivoluzionario immaginare l’inserimento, in seno alla Pubblica Amministrazione, di nuove competenze e concorsi da espletarsi prima possibile.
Che visione di politica estera è emersa a suo giudizio dalle parole di Mario Draghi?
Sulla politica estera, dopo il discorso di Draghi, mi sembra che qualche problema dovrebbero averlo Lega, 5 Stelle e i vari sovranisti all’amatriciana, non certo il Pd. Penso al richiamo a una nuova sovranità europea in politica economica. O al fatto che le democrazie occidentali siano i nostri partner naturali, non certo Cina o Russia.
In questo senso quale deve essere il ruolo del Pd?
Il Pd che ho in mente io si ritrova nella visione di Draghi. Per lo stesso motivo faccio fatica a capire come qualcuno abbia potuto considerare Conte non il punto di equilibrio di una coalizione eterogenea ma addirittura il leader dei progressisti.
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