«Da Conte mi sarei aspettato un po’ più di autocritica», analizza Tommaso Nannicini, economista e senatore dem, che vota sì ma chiede: «Ora si cambi veramente e non ci s’illuda di andare avanti come prima».
Lei l’altro giorno ha definito Conte uno smemorato.
«Il Pd chiede da tempo una svolta e un rilancio dell’azione di governo ma qualcuno deve essersi dimenticato di ricordarlo a Conte prima del suo intervento alla Camera e poi al Senato».
Deluso?
«Pur non condividendo i modi e i tempi con cui si è innescata la crisi, non nego che ci siano stati errori e ritardi nell’azione di governo. Nel discorso di Conte, anche se alcuni punti come il forte ancoraggio all’Europa sono stati molto positivi, non ho intravisto una grande consapevolezza per voltare pagina. Mi sarei aspettato un’analisi su cosa ha funzionato e cosa no. Invece niente, nemmeno una contestualizzazione dei temi generali».
Quali erano i punti da toccare?
«Si è parlato dei 100 miliardi per l’emergenza, che andavano dati sia chiaro, ma non una sillaba sui ritardi o sul perché si son dati pochi aiuti a giovani, disoccupati e partite iva. Non si è parlato delle scuole chiuse, dei ritardi nel reclutamento, di misure straordinarie per contrastare la povertà educativa. Non si è parlato di ammortizzatori sociali universali, di dare un reddito di formazione o di aggiustare quello di cittadinanza, come chiede fin dall’inizio non solo il Pd ma l’Alleanza contro la povertà. Ho trovato, insomma, scarsa consapevolezza su temi cruciali, se il governo non vuole solo vivacchiare».
Perdoni ma viene da chiederle: allora perché vota la fiducia?
«Anzitutto per disciplina di partito e rispetto della comunità politica a cui appartengo. E perché non mi sembra il momento di una crisi al buio. Non perché si debba cancellare il conflitto politico durante una pandemia. Anzi. Ma perché ci sono dossier aperti, come ristori e Recovery plan, che potevano essere chiusi col contributo di tutti prima di aprire il confronto e anche il conflitto su un patto di legislatura. Spero però che maturi una maggiore consapevolezza per le sfide che ci attendono, a partire dalla crisi occupazione dietro l’angolo».
Cosa chiede a Conte e al governo?
«Serve un patto di legislatura con una maggioranza che abbia una visione chiara. Meno bonus e più riforme. Meno task force e più ministri in grado di governare le burocrazie. E occorre parlare con tutti, anche con Italia Viva che ha sì innescato la crisi ma, ricordiamolo, ha deciso di astenersi per far sì che ci sia ancora una maggioranza. Mi auguro non prevalga l’illusione che si possa andare avanti come prima. C’è un fatto politico nuovo e la caccia ai transfughi non può essere la soluzione».
Non crede che il Pd doveva muovere critiche a questo governo? Invece si è preferito mandare avanti Renzi a cui è sfuggito il risiko di mano.
«Dico da tempo che rilievi e critiche andavano sollevati prima e in maniera forte perché ci stavamo impantanando. Zingaretti ha detto varie volte che serviva una svolta. Ero e sono d’accordo con lui, ma invocare la svolta non basta, bisogna incalzare gli alleati su temi concreti. E bisogna trovare il coraggio di fare qualche autocritica puntuale. Serve, insomma, un discorso di verità al Paese».
Ce l’ha con il suo partito?
«Mi aspetto che il mio partito da domani si assuma la responsabilità di imprimere una svolta e non si accontenti di una governabilità fine a sé stessa. Spero che qualche timidezza di troppo con i nostri alleati sia dettata solo dall’emergenza. Ma non la userei come scusa per fondare un movimento sei stelle in cui la sesta stella sono le correnti del Pd, perché questo passaggio meriterebbe almeno un congresso».
A suo avviso dopo questa crisi serve un tagliando alla squadra di governo?
«Serve un programma di legislatura. Il problema di individuare le persone migliori per portarlo avanti viene dopo. Ma per essere chiaro: non vedo realistico un cambio di passo con un Conte bis in cui si vanno solo a colmare le caselle lasciate libere da Italia Viva».