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Jobs Act, questa è la verità sui numeri

Tommaso Nannicini, Marco Leonardi
Lavoro/#jobs act

Come da tradizione, la pubblicazione dei dati Inps sull’occupazione è un’occasione imperdibile per i professionisti delle strumentalizzazioni – è il caso oggi del blog di Beppe Grillo – sempre pronti a piegare i numeri alle proprie esigenze di parte. Per leggere in quei numeri, come molti stanno facendo in queste ore, un fallimento delle politiche occupazionali degli ultimi anni ci vuole una buona dose di fantasia o di malafede.

Che cosa ci dicono, invece, davvero, i dati Inps? Tre cose. Semplici e chiare.

Prima. La variazione netta sul totale dei rapporti di lavoro subordinato dall’introduzione del Jobs Act in poi è positiva per oltre 967 unità (+627 mila nel 2015, +340 mila nell’anno successivo). Considerando i soli contratti a tempo indeterminato, il saldo dei due anni, grazie alla trasformazione di contratti a termine o di apprendistato, supera il milione. Se qualcuno due anni fa avesse promesso la creazione di un milione di nuovi contratti permanenti (al netto di dimissioni e licenziamenti) sarebbe stato preso per un venditore di fumo. Appare quantomeno difficile scorgere in questi numeri un “crollo dei contratti stabili”. E i dati del 2015 e del 2016 vanno letti insieme perché il 2015 è stato l’anno degli sgravi contributivi totali, che hanno creato una decisa inversione di tendenza nelle assunzioni, spingendo anche molte imprese ad anticipare le proprie decisioni di stabilizzazione.

Seconda. Anche se curiosamente pochi lo sottolineano, il tasso dei licenziamenti è in continua diminuzione dopo il Jobs Act: dal 6,5% del 2014 si è scesi al 6,1% del 2015 per arrivare al 5,9% dell’ultimo anno. Numeri che mal si sposano con la bufala che i licenziamenti sono aumentati per colpa del Jobs Act, bufala sulla quale qualcuno è già in campagna elettorale.

Terza. Sul capitolo voucher, infine, si può notare come la netta flessione nella crescita dei buoni lavoro (cresciuti nel gennaio 2017 di un modesto 3,9% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente) rifletta gli effetti dell’obbligo di comunicazione preventiva, operativa dalla seconda metà di ottobre. Per carità, su questo fronte, rimane l’esigenza di correttivi che limitano gli eccessi di utilizzo da parte delle imprese e di altri grandi utilizzatori, limitando i voucher ai soli lavori meramente occasionali. Ma i dati ci dicono che la maggiore tracciabilità produce effetti.

Tutto bene, quindi? Viviamo già nel migliore dei mercati del lavoro possibili? Naturalmente no. Resta molto da fare, dal rafforzamento delle politiche attive al taglio del cuneo contributivo sul lavoro stabile. Perdere tempo, però, caro Beppe, in polemiche ideologiche e strumentali non ci aiuterà a fare passi in avanti.