Tommaso Nannicini tradisce i suoi 42 anni, due meno dell’età media degli italiani, parlando di seconda repubblica rigorosamente al passato. Ha fatto questo, ha trascurato quell’altro. In ogni caso una stagione chiusa per il neo-sottosegretario alla presidenza del Consiglio a cui Matteo Renzi ha affidato la cabina di regia della politica economica. Non è solo una questione generazionale. “È un cambio di filosofia: nella seconda repubblica l’obiettivo era il consolidamento finanziario. La crescita era solo un vincolo: dovevamo risanare senza scaricare troppi effetti negativi sull’economia. Ora l’obiettivo è la crescita e il risanamento di bilancio è un vincolo. Nessuno vuole creare crescita con la droga del disavanzo pubblico in maniera permanente, però ci sono leve di breve periodo da tenere presenti. È un mix di interventi strutturali e congiunturali”.
Se l’obiettivo è la crescita, per ora sfugge: da 4 trimestri, è sempre più bassa. Era nelle attese?
“Non lo era. In periodi di crisi e di ansia si guarda alle statistiche economiche cercando di scorgere chissà quali segni, ma a volte le loro proprietà divinatorie sono simili a quelle dei fondi di caffè. Soprattutto se ci impuntiamo sullo zero-virgola da trimestre a trimestre. Intanto però torna il segno più, la ripresa è fragile ma è un punto di svolta. Da rafforzare. Probabilmente il rallentamento di fine 2015 si spiega con quello internazionale, a partire dai Paesi emergenti. Il punto è capire cosa verrà dopo”.
L’Italia entra nel 2016 a passo lento. Per l’Ocse quest’anno crescerà all’1% e non all’1,6% previsto dal governo.
“È presto per dirlo. Faremo le stime nel Documento di economia e finanza (Def) di aprile, anche sulla base dell’andamento in questi mesi. Il punto di fondo è che gli scostamenti di cui si parla non avranno impatto sulla strategia di aggiustamento fiscale”.
Il debito pubblico da quest’anno scenderà?
“Il debito scenderà. E ci sono tutti i fattori per far sì che questa inversione di tendenza si realizzi nel 2016. L’impegno ribadito più volte dal presidente Renzi e dal ministro Pier Carlo Padoan è di segnare quest’anno come il punto di svolta nella riduzione del debito”.
L’impegno è anche di mantenere il deficit al 2,4% del Pil? O al 2,5% come ha detto Renzi? Insomma, qual è l’obiettivo?
“Questo è oggetto di una discussione con la Commissione europea. Ad aprile ci sarà il Def, la Commissione si pronuncia a maggio, ed è lì che si capiranno l’entità della manovra di quest’anno e le linee d’indirizzo del Def per quelli successivi”.
Renzi critica l’austerità, ma da due anni l’impatto delle manovre di bilancio è espansivo. Non sarà che Bruxelles chiede semplicemente meno bonus per tutti, e più misure che rafforzino la produttività e il potenziale dell’Italia?
“Il percorso di aggiustamento fiscale rimane, è solo più lento rispetto agli impegni eccessivamente onerosi assunti in passato. Qui sta il carattere espansivo. Si sta solo spalmando nel tempo un processo di consolidamento di bilancio che, come ho detto, segna un cambio di filosofia rispetto alla seconda repubblica”.
Non c’era niente di meglio dei bonus-teatro ai diciottenni per rafforzare il potenziale del Paese?
“Non è che non c’era. C’è. Il dibattito pubblico si è interessato molto alla card dei diciottenni, il cui impatto finanziario è molto minore rispetto a una lunga lista di misure di alleggerimento del carico fiscale: incentivi alla produttività, alla contrattazione aziendale, il super-ammortamento per il rilancio degli investimenti privati, il taglio dell’Ires (Imposta sul reddito delle società, ndr ) che è già nero su bianco e scatterà nel 2017. Eppure se cerchiamo su qualunque banca dati dei media, le parole “bonus diciottenni” sono molto più presenti di tutte queste misure. Ma sono queste che muovono più risorse. E lo fanno per aumentare la produttività”.
Quale sarà il prossimo cantiere di riforme?
“In parte i grandi appuntamenti sono già segnati. Dopo l’Ires il presidente ha già annunciato un intervento strutturale sull’Irpef, l’imposta sulle persone fisiche. Sarà una misura strutturale, che ripensa al nostro sistema a scaglioni e al carico fiscale. C’è poi un cantiere aperto sulla semplificazione fiscale e la lotta all’evasione non più fatta attraverso norme bizantine, ma tramite nuovi strumenti come l’analisi dei dati e la compliance (adeguamento, ndr) volontaria. Poi va completato il lavoro sulla pubblica amministrazione e la giustizia. Piuttosto che inseguire la prossima ideona, dobbiamo chiudere presto e bene queste partite. Dobbiamo chiedere molto a noi stessi per l’attuazione di queste riforme. Non stancarsi un minuto di monitorare e trovare strumenti che le rendano effettive”.
Pensa ai nuovi centri per l’impiego previsti Jobs Act per guidare i disoccupati, che tardano?
“Esatto. Ci sono problemi di governance nel rapporto con le regioni, ma qui dobbiamo aspettare il referendum costituzionale. Per la transizione abbiamo scelto un’agenzia snella che crei un raccordo fra pubblico e privato per offrire servizi di ricollocamento”.
In Italia vivono sei milioni di poveri, ma la manovra prevede sette euro al mese per ciascuno di loro. Non è poco?
“È un miliardo di risorse aggiuntive. E questo è il governo che ha messo due miliardi in più sui nuovi ammortizzatori sociali del Jobs act, gli assegni per la disoccupazione e il ricollocamento”.
Basta così?
“No, è un primo passo. Per la povertà abbiamo creato un programma stabile che a regime varrà 1,5 miliardi. Ora andrà razionalizzata la giungla di misure esistenti, facendole confluire in uno strumento unico, semplice e rafforzato. Vogliamo arrivare un Social Act dopo il Jobs Act. Entro quest’anno, per l’autunno”.
Intanto non è chiaro l’impatto del Jobs Act sulla creazione di posti di lavoro permanenti. L’impennata di assunzioni a dicembre, prima che il bonus contributivo calasse, fa pensare che alle imprese interessi soprattutto lo sgravio.
“È presto per dire se incide più l’esonero contributivo triennale o il contratto a tutele crescenti. Non abbiamo mai pensato di creare magicamente occupazione con un intervento di ingegneria normativa. L’idea è riallineare la capacità del sistema produttivo al ciclo economico. Intanto c’è una chiara inversione di tendenza dell’occupazione e vorrei sottolineare due elementi: il boom di assunzioni c’è stato anche a marzo scorso, in coincidenza con l’entrata in vigore del nuovo contratto. E si è visto un piccolo boom di passaggi dall’apprendistato al tempo indeterminato, anche se in questo caso non è previsto lo sgravio”.
Non si rischia che, scadute le decontribuzioni, finiscano le assunzioni permanenti?
“Lo sgravio è una misura congiunturale, temporanea, che deve scendere con un décalage sui tre anni dal 2015 al 2017. E lì si apre la partita del taglio strutturale al cuneo contributivo (la differenza in busta paga tra lordo e netto, ndr ) del tempo indeterminato, perché sempre e per tutti un contratto permanente pesi meno in termini di costo del lavoro”.
È un annuncio?
“È una sfida. L’istruttoria tecnica e politica è prematura, ma dobbiamo capire come far costare meno il tempo indeterminato, in termini di contributi, senza incidere negativamente sulle aspettative pensionistiche dei lavoratori”.