Al di là di come andrà il voto, per la prima volta dal 1994, Silvio Berlusconi non è riuscito a mettersi al centro della scena politico-mediatica. La polarizzazione, questa volta, si gioca tutta sull’asse Pd-M5S. Grillo fa il suo mestiere: scommette sulla frustrazione di una Paese che non cresce da decenni e in cui si affaccia alla vita sociale una generazione che, a differenza delle precedenti, ha aspettative assai magre di poter fare meglio di chi l’ha preceduta. La strategia del post-comico genovese è semplice: impugnare un capro espiatorio dopo l’altro, dall’Euro alla globalizzazione, dall’immigrazione alla politica corrotta, per distruggere il distruggibile senza avanzare proposte su come rimettere insieme i cocci. A meno che non si considerino proposte i “sette punti programmatici” del M5S, mai spiegati e incoerenti tra loro, o l’algoritmo informatico “già pronto” per smascherare i politici che si sono arricchiti e poi processarli online. Suvvia, non scherziamo.
Il segnale positivo è che il Pd c’è. È in campo con un messaggio chiaro: se torneremo a scommettere sulle capacità e sulle risorse di noi italiani, la speranza è tutt’altro che perduta. Una speranza che lega a filo doppio l’Italia e l’Europa, perché nessuna delle due può salvarsi se l’altra affonda. Il messaggio elettorale è quello giusto, ma proprio per questo occorrerà che alle parole seguano i fatti in tempi brevi. Servono decisioni rapide, ma non estemporanee. Servono idee chiare e la volontà di portarle fino in fondo, anche a costo di pestare i piedi a qualche interesse costituito o di rottamare qualche tabù. Dopo le europee, il tempo del rodaggio, per il governo e per il nuovo corso del Pd, sarà davvero finito. Un successo elettorale sarebbe il modo migliore per ripartire, ma in ogni caso non basterà. Le sfide che attendono l’Italia e l’Europa sono complesse: un intricato puzzle di interessi contrastanti tra Paesi e all’interno di ogni singolo Paese. In campagna elettorale, è naturale sorvolare un po’ sulla difficoltà delle scelte. Subito dopo, occorrerà affrontarle senza reticenze e a viso aperto.
Nonostante il messaggio di speranza che arriva dal Pd, però, la campagna elettorale per le europee resterà anche un’occasione mancata. Un po’ tutti hanno detto che l’Europa così com’è non funziona e va cambiata, ma di idee su come farlo se ne sono sentite poche. Eppure, in un periodo di crisi delle istituzioni europee e della moneta unica, questo era il momento migliore per superare quel deficit di consapevolezza con cui sono state gestite tante fasi del processo d’integrazione europea. Era il momento di un dibattito franco e pragmatico sul futuro dell’Unione. Ma in questa campagna di tutto si è parlato tranne che di Europa.
Per esempio, nel programma del Pse, insieme a tanti obiettivi un po’ fumosi, c’è una proposta importante: quella di creare una tutela europea per il rischio disoccupazione. Ma nonostante gli sforzi meritori del responsabile economia del Pd, Filippo Taddei, se n’è parlato troppo poco in campagna elettorale. Questa proposta, se finanziata con una nuova forma di tassazione comunitaria, introdurrebbe un meccanismo di stabilizzazione automatica per assorbire gli shock (boom e recessioni) che colpiscono in maniera diversa i Paesi dell’Unione. E lo farebbe con un meccanismo che, a differenza degli Eurobond, non trasferisce sempre risorse dai Paesi del Nord verso quelli periferici, per il semplice fatto che a volte la disoccupazione è più alta nei primi, altre volte nei secondi. Per non parlare del messaggio politico di far arrivare un assegno unico ai disoccupati europei. Messaggio che non dovrebbe sfuggire a chi ha giustamente puntato sul cambiamento delle aspettative che potrebbero innescare 80 euro in più nella busta paga degli italiani. Certo, per evitare che un Paese cada nella tentazione di abusarne scaricando i costi del sussidio europeo sugli altri, anche la sua gestione dovrebbe essere comune, ma questo non farebbe altro che rafforzare la contaminazione e la mobilità tra le migliori pratiche burocratiche all’interno dell’Europa.
Per la prima volta, infine, le grandi famiglie della politica europea presentavano i loro candidati alla guida della Commissione, ma è difficile pensare che l’elettore medio se ne sia accorto. Forse, sarebbe stato meglio se anche i partiti italiani avessero fatto il nome dei loro candidati ideali per rappresentare il nostro Paese all’interno della Commissione. Le scelte che il governo farà su questi nomi, di concerto con le altre forze politiche, indicheranno se si vuole davvero voltare pagina. Anche da lì, si capirà se ci si preoccupa di dare una nuova strategia all’Europa o della solita tattica politica nostrana. Se si guarda al futuro o al passato.