La Stampa

La sveglia di Bruxelles dopo i sogni d’Agosto

Tommaso Nannicini
EconomiaEuropa/#europa#manovra

Negli anni, la manovra economica ha cambiato nome: finanziaria, legge di stabilità, legge di bilancio. Ma non è cambiata la liturgia che, mese dopo mese, governa il processo con cui viene cucinata, dalle indiscrezioni agostane fino all’approvazione di dicembre. Agosto è il mese in cui le forze di maggioranza segnalano le loro priorità. Le indiscrezioni che arrivano dai partiti piantano bandierine prima della trattativa sugli interventi da finanziare, mentre quelle che arrivano dal ministero dell’economia fissano paletti per placare l’appetito della maggioranza. È a settembre, poi, che prendono forma i contorni quantitativi e gli ingredienti della manovra, i cui saldi scaturiscono anche dal confronto con l’Unione Europea. Se agosto è il mese dei desideri, settembre è quello dei vincoli.

Questo agosto non ha fatto eccezione. I partiti di maggioranza hanno segnalato le loro priorità. La Lega vorrebbe estendere il regime fiscale agevolato per il lavoro autonomo e introdurre una misura di pensionamento anticipato (quota 41). Forza Italia vorrebbe una misura a favore delle pensioni minime, nel solco della tradizione berlusconiana. Fratelli d’Italia si fa carico di proposte più ampie, come la riduzione del cuneo contributivo e delle tasse sui ceti medi, ma non rinuncia a qualche misura “natalista” a favore delle famiglie numerose. Il ministero dell’economia, dal canto suo, fa capire che gli anni in cui i vincoli di bilancio sembravano scomparsi sono alle spalle.

È presto per dire che cosa verrà fuori da questo mix di priorità e vincoli. Ma è probabile che ci saranno tre interventi simbolici a favore, rispettivamente, di famiglie con figli, pensionandi e pensionati. Realisticamente, nessuno di questi interventi assorbirà più di 500 milioni (del tutto insufficienti a soddisfare le richieste dei partiti). Il trucco è noto. Si annuncia una misura simbolica, ma poi si aggiungono dettagli che ne limitano i costi (e di conseguenza l’impatto). Elargisco un bonus alle madri, ma solo se hanno più di due figli e lavorano a tempo indeterminato. Mando in pensione chi ha 41 anni di contributi, ma col ricalcolo contributivo che rende poco conveniente la scelta. Aumento le pensioni minime, ma solo se rispettano certi requisiti aggiuntivi.

Dopo questi tre interventi simbolici, al netto delle solite mance disperse in mille rivoli, il margine residuo della manovra sarà destinato a riduzioni del carico fiscale. Riduzioni, però, che rischiano di scontrarsi con due limiti. Quello di essere spalmate su troppi soggetti, riducendone l’impatto. E quello di essere temporanee, perché così ti spingono a fare le regole europee, dandoti un po’ di flessibilità oggi a patto che ti condizioni a un aggiustamento dei conti domani. Insomma, ogni forza della maggioranza avrà qualcosa da vendere nella comunicazione pubblica, ma gli effetti economici e sociali della manovra saranno limitati. Il sentiero è tornato stretto.

C’è un altro aspetto da valutare. Le politiche pubbliche, da noi, sono terreno di scontro tra le forze della maggioranza, piuttosto che tra maggioranza e opposizione. In parte è normale quando hai governi di coalizione. Ma è un peccato. Negli Usa, democratici e repubblicani si scontrano su un aspetto a prima vista secondario di una politica che entrambi sostengono come le detrazioni fiscali per figli a carico, cioè la quota per cui sono rimborsabili in modo da raggiungere gli incapienti. Questo scontro aiuta entrambi i partiti a chiarire la loro identità e la coalizione sociale che vogliono costruire. Pensate quanto sarebbe utile se anche da noi il dibattito sulla manovra fosse – per esempio – tra un centrodestra che propone bonus alle madri e sgravi fiscali alle famiglie numerose, e un centrosinistra che propone congedi paritari per padri e madri. Tra un centrodestra che propone pensioni anticipate per chiunque, e un centrosinistra che le propone solo per categorie fragili, in modo da rafforzare le pensioni dei giovani. E così via.

Resta da capire se la difficoltà a far emergere una dialettica di questo tipo nasca dalla natura del sistema politico, dove il bello e il cattivo tempo lo fanno le tensioni all’interno dei governi di coalizione, oppure nasca da una penuria di idee da parte delle forze di opposizione. Lo capiremo, forse, in autunno. A ogni stagione i suoi frutti.

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