La Stampa

Le tensioni sul Jobs act e l’autogol della Cgil

Tommaso Nannicini
Lavoro/#cgil#jobs act#lavoro

Due indizi non fanno una prova, ma raccontano comunque qualcosa. Le reazioni ai referendum contro il Jobs Act promossi dalla Cgil e alla proposta di legge della Cisl sulla partecipazione dei lavoratori in azienda, svelano una linea politica basata su due elementi. Il primo: rafforzare l’egemonia della Cgil sul centrosinistra, in una sorta di cinghia di trasmissione all’incontrario per cui i partiti prendono ordini dal sindacato. Il secondo: creare una polarizzazione all’interno del mondo sindacale, spingendo la Cisl verso il centrodestra. Vediamo perché.

I quattro referendum della Cgil sul lavoro vengono sbandierati come “contro” il Jobs act, ma tre quesiti su quattro non riguardano quella riforma. E il quarto abolisce un decreto del Jobs act che è già stato stravolto dalla Corte costituzionale. Col risultato paradossale che, in tema di licenziamenti, qualora vincesse il “sì”, l’indennizzo massimo calerebbe da 36 a 24 mesi di retribuzione, tornando alla legge del governo Monti, allora sostenuta dal Pd di Bersani ma fortemente osteggiata dalla Cgil. Non granché come risultato. Allora, perché impantanarsi in una discussione sul passato, quando il futuro richiederebbe di pensare ad altre priorità, dai salari che stagnano alle competenze che si impoveriscono? La ragione non può che essere politica. Far leva sulle divisioni del centrosinistra per sancire un principio chiaro: la linea la detta la Cgil.

Invece, la proposta di legge d’iniziativa popolare della Cisl vuole attuare, alla buon’ora, l’articolo 46 della Costituzione, per cui “la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. Il disegno di legge prova a farlo, regolando e favorendo diverse forme di partecipazione, da quella organizzativa e consultiva fino alla condivisione degli utili. Nel primo passaggio in commissione, la proposta originaria è stato stravolto da cambiamenti peggiorativi. Ma non è un buon motivo per votare contro, come hanno fatto Pd, 5 Stelle e Avs. Avrebbero potuto astenersi, riconoscendo il merito dell’iniziativa sindacale, pur criticando le modifiche del centrodestra. L’errore è così dilettantesco da far pensare che nasconda altro. Il voto contrario, anche qualora non venisse confermato in aula, sembra dettato dalla voglia di polarizzare il sindacato, spingendo la Cisl verso il centrodestra.

Se vincesse questa linea, che cosa accadrebbe? Di sicuro, avremmo un sindacato più debole. Negli ultimi decenni, solo l’unità di Cgil, Cisl e Uil ha permesso ai sindacati di ottenere risultati importanti. Sul piano politico, gli esiti sono più incerti. In fondo, nella Prima Repubblica, ogni partito aveva le sue organizzazioni sociali: sindacati, associazioni di categoria nell’artigianato, nel commercio, nell’agricoltura, circoli ricreativi, persino associazioni sportive amatoriali. Per alcuni, era un effetto perverso della partitocrazia. Ma non c’è dubbio che queste articolazioni rafforzassero la vocazione maggioritaria dei partiti più forti, il loro essere – per dirla con Otto Kirchheimer – partiti “pigliatutto,” capaci di parlare a tutta la società e non soltanto a qualche settore. La Dc non poteva schiacciarsi sugli interessi di imprese e proprietari terrieri, perché doveva confrontarsi con il “suo” sindacato. Pci e Psi non potevano schiacciarsi sugli interessi della classe operaia, perché dovevano confrontarsi con i “loro” artigiani e commercianti. Pur con tutte le differenze del caso, oggi, spingere una parte del mondo sindacale verso l’attuale centrodestra ne rafforzerebbe la vocazione maggioritaria, aiutandolo a governare.

Insomma, sia dal punto di vista sindacale che politico, questa strategia presenta evidenti effetti collaterali. Un sindacato diviso è un sindacato debole, mentre in questa fase sarebbe importante che si mostrasse compatto per ottenere salari più alti e tecnologie più umane. Provare a spingere la Cisl verso il centrodestra significa rafforzare il progetto di quest’ultimo di farsi coalizione “pigliatutto”, consolidandone la presa sul potere. Tutto questo in cambio soltanto dell’egemonia della Cgil sul centrosinistra? Visto da fuori, non sembra proprio un grande affare.

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