Linkiesta

Legge elettorale, un buon compromesso

Tommaso Nannicini
Democrazia/#legge elettorale

Che Renzi abbia spiccate doti persuasive non è una scoperta. Ma nel presentare il raggiunto accordo sulle riforme istituzionali davanti alla direzione Pd le ha sfoderate tutte.

Primo. Ha sottolineato che stava presentando un accordo già raggiunto con altre forze politiche e non una semplice proposta. Una stoccata a chi gli rimprovera di muoversi come un elefante in una cristalleria, come un leader decisionista più bravo a far saltare tavoli che a trovare compromessi.

Secondo. È partito dagli accordi sul Senato (superamento del bicameralismo paritario e del Senato elettivo) e sulle Regioni (superamento della competenza concorrente su temi strategici). Per la serie: si fanno passi avanti importanti per migliorare la nostra architettura istituzionale al di là della mera legge elettorale.

Terzo. Ha esplicitato che si è raggiunto un compromesso con il Nuovo Centrodestra per salvaguardare la tenuta del governo. La ripartizione dei seggi tra partiti non avverrà in piccoli collegi come nel modello spagnolo (gradito sia a Renzi sia a Berlusconi), ma a livello nazionale, come in un sistema proporzionale puro. I piccoli collegi ci sono, ma saranno usati solo per selezionare gli eletti all’interno di ogni lista. I compromessi sono il sale della politica, ma sarebbe stato sbagliato nasconderli sotto il tappeto. Insomma: i partiti medio-piccoli tirano un sospiro di sollievo grazie ad Alfano. In compenso, gli effetti proporzionali della ripartizione nazionale saranno attenutati dalle clausole di sbarramento del 5% per i partiti coalizzati e dell’8% per i non coalizzati (numeri non negoziabili, a quanto pare) e da un premio di maggioranza a doppio turno.

Quarto. Ha usato, sapientemente, il termine “collegi plurinominali” per vendere la parte meno convincente dell’accordo. Anche qui si tratta probabilmente di un compromesso, anche se meno esplicito del precedente. Se la ripartizione dei seggi avviene su base nazionale (alla tedesca), perché la selezione dei candidati non può avvenire almeno in parte con collegi uninominali come in Germania? Probabilmente, qualcuno ha messo un veto (Berlusconi?). Per difendere il compromesso, Renzi ha insistito molto sulla vicinanza, non solo linguistica, tra collegi uninominali e plurinominali. E ha giocato con l’esempietto delle liste corte, composte da soli quattro nominativi scritti sulla scheda elettorale. Poco importa che con 118 collegi per eleggere 630 deputati, la media per collegio sia un po’ più altina: 5,3. Suvvia, con un po’ di fantasia geografica, se ne possono disegnare 158 di collegi.

Quinto. Pur pagando il prezzo dell’accordo con Alfano (la carota), non ha nascosto che l’accordo forte è stato raggiunto con Berlusconi (il bastone). Ripetendo per ben due volte: con gli altri partiti spero ci sarà accordo, ma di sicuro c’è con Forza Italia. A buon intenditor poche parole.

Sulla carta, non è certo il sistema elettorale ottimale. Meglio il doppio turno di collegio alla francese. Meglio, forse, lo stesso Mattarellum. Ma Renzi mi ha convinto: è un buon compromesso.

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