I compromessi sono il sale della politica. Ma i politici hanno spesso la tentazione di nobilitare, ex post, i compromessi che hanno raggiunto, ammantandoli dietro “principi non negoziabili” e “obiettivi inderogabili”. Mi sembra che Renzi abbia resistito alla tentazione, presentando il compromesso raggiunto con Berlusconi e altri partiti come tale.
Intendiamoci: il sistema elettorale che ne è uscito non è il migliore sulla carta, e ci sono diversi accorgimenti tecnici da mettere a punto (a partire dall’allocazione degli eletti dentro ogni singola lista). Si parla tanto di sindaci, ma di fatto si è scelto il vecchio sistema elettorale delle provinciali, con collegi plurinominali al posto di quelli uninominali (perché?). Ci sono pochi dubbi, tuttavia, che l’Italicum sia meglio del Porcellum o dello status quo proporzionale creato dalla sentenza della Corte Costituzionale.
In particolare, introducendo la direzione Pd che ha ratificato l’accordo, Renzi è stato molto convincente nel difenderlo. Che il sindaco di Firenze abbia spiccate doti persuasive non è una scoperta. Ma nel presentare il compromesso raggiunto le ha sfoderate tutte.
Primo. Ha sottolineato che stava presentando un accordo già siglato con altre forze politiche e non una semplice proposta. Una stoccata a chi gli rimprovera di muoversi come un elefante in una cristalleria, come un leader decisionista più bravo a far saltare tavoli che a trovare compromessi.
Secondo. È partito dagli accordi sul Senato (superamento del bicameralismo paritario e del Senato elettivo) e sulle Regioni (superamento della competenza concorrente su temi strategici). Per la serie: si fanno passi avanti importanti per aumentare l’efficienza della nostra architettura istituzionale al di là della mera legge elettorale.
Terzo. Ha esplicitato che si è raggiunto un compromesso con il Nuovo Centrodestra per salvaguardare la tenuta del governo. La ripartizione dei seggi tra partiti non avverrà in piccoli collegi come nel modello spagnolo (ipotizzato in un primo momento), ma a livello nazionale, come in un sistema proporzionale puro. I piccoli collegi ci sono, ma saranno usati solo per selezionare gli eletti all’interno di ogni lista. I compromessi sono il sale della politica, ma sarebbe stato sbagliato nasconderli sotto il tappeto. Insomma: i partiti medio-piccoli tirano un sospiro di sollievo grazie ad Alfano. In compenso, gli effetti proporzionali della ripartizione nazionale saranno attenutati dalle clausole di sbarramento del 5% per i partiti coalizzati e dell’8% per i non coalizzati (numeri non negoziabili, a quanto pare) e da un premio di maggioranza a doppio turno. Difficile ipotizzare più di 5 o 6 partiti rappresentanti nel nuovo Parlamento, se i numeri sulle clausole reggeranno.
Quarto. Ha usato, sapientemente, il termine “collegi plurinominali” per vendere la parte meno convincente dell’accordo. Anche qui si tratta probabilmente di un compromesso, anche se meno esplicito del precedente. Se la ripartizione dei seggi avviene su base nazionale (alla tedesca), perché la selezione dei candidati non può avvenire almeno in parte con collegi uninominali come in Germania o, come detto, nel vecchio sistema per le provinciali? Probabilmente, qualcuno ha messo un veto (chi? Berlusconi?). Per difendere il compromesso, Renzi ha insistito molto sulla vicinanza, non solo linguistica, tra collegi uninominali e plurinominali. E ha giocato con l’esempietto delle liste corte, composte da soli quattro nominativi scritti sulla scheda elettorale. Ma non è proprio così. Con 118 collegi per eleggere 630 deputati, la media per collegio è un po’ più altina: 5,3. Per non parlare della varianza tra collegi con dimensioni diverse. Suvvia, con un po’ di fantasia geografica, se ne possono disegnare almeno 158 di collegi.
Quinto. Pur pagando il prezzo dell’accordo con Alfano (la carota), non ha nascosto che l’accordo forte è stato raggiunto con Berlusconi (il bastone). Ripetendo per ben due volte: con gli altri partiti spero ci sarà accordo, ma di sicuro c’è con Forza Italia. A buon intenditor poche parole.
L’Italicum, come detto, non è certo il sistema elettorale ottimale. Meglio il doppio turno di collegio alla francese. Meglio lo stesso Mattarellum. Ma Renzi mi ha convinto: è un buon compromesso.
Vai al contenuto