Linkiesta

L’equità? Iniziamo col cancellare i regali acquisiti

Tommaso Nannicini
Economia/#equità

In periodi di crisi economica, la domanda di equità si fa pressante. Perché non cada preda di politici a caccia di facili consensi, però, è importante precisare di che cosa stiamo parlando e, soprattutto, cosa si possa fare. In Italia, sia lo stato sociale sia il fisco fanno male il proprio mestiere. Il primo perché siamo uno dei Paesi in cui le diseguaglianze si riducono di meno prima e dopo l’intervento dello Stato. Il secondo perché l’evasione crea disparità enormi nella distribuzione del carico fiscale. Parlare di equità in questo contesto non è facile.

Per risolvere il problema degli esodati, mantenendo solo per loro lostatus quo previdenziale precedente alla riforma Fornero, un’iniziativa parlamentare bipartisan vuole introdurre un prelievo “di solidarietà” del 3% sulla parte di reddito oltre i 150 mila euro lordi. Ma siamo sicuri che non ci fossero altri modi per tutelarli, o che sia sempre equo aumentare la progressività del prelievo quando l’evasione è alta (solo lo 0,36% degli italiani che pagano le tasse supera la soglia dei 150 mila euro)? E c’è da stare certi che sentiremo presto parlare di nuovi benefici sociali da finanziare con una patrimoniale sui “grandi patrimoni” (come in tutte le campagne elettorali che si rispettino, meglio tenersi sul vago). Ma siamo sicuri che sia sufficiente per recuperare le risorse necessarie a combattere la povertà in un contesto di alta mobilità dei capitali?

Forse, meriterebbe fare un passo indietro, per chiederci che cosa significhi “equità” nel dibattito italiano su pensioni e welfare. La lunga transizione verso un sistema previdenziale in equilibrio, iniziata dalla riforma Dini e completata da quella Fornero, ha risparmiato intere generazioni, infrangendo altre due forme di equità: quella attuariale e quella intergenerazionale. L’equità attuariale richiede che ciascuno riceva un beneficio commisurato ai contributi che ha versato e a un tasso di rendimento sostenibile. L’equità intergenerazionale richiede che nessuna coorte scarichi i costi dei suoi consumi correnti sulle generazioni future.

Per permettere a queste due forme di equità di fare capolino, avanzo una proposta in due mosse. Prima mossa. Per ogni pensione, l’istituto previdenziale che la eroga presenti a chi la riceve una semplice statistica: il rendimento implicito dei contributi versati durante la vita lavorativa, calcolato in base all’ammontare della pensione e alla speranza di vita. Per alcuni baby pensionati che ancora ricevono l’assegno con il metodo retributivo, questo rendimento è enorme, tale da far impallidire qualsiasi investimento spericolato e a fronte di nessun rischio. Accanto al rendimento implicito, l’istituto previdenziale fornisca anche il suo percentile rispetto alle pensioni in essere: cioè, se un individuo si trova nel 99 percentile dovrà rendersi conto che 99 pensionati su 100 godono di un rendimento inferiore al suo. Perché tutto questo? Semplice: per rendere trasparente le iniquità che ancora si annidano nel nostro sistema previdenziale.

Non si tratta di demonizzare i diritti acquisiti in quanto tali. Ma almeno sia chiaro, quando li si difende al bar o su twitter, che a volte si tratta di regali acquisiti. Non è l’ammontare assoluto della pensione che conta, ma il suo rapporto coi contributi versati. In alcuni casi, come quello delle pensioni molto basse, il regalo acquisito si giustifica in termini redistributivi: è giusto garantire una vecchiaia dignitosa a chi non ha una storia contributiva sufficiente, scaricandone i costi sulla fiscalità generale. Basta che l’intervento sia trasparente. In altri casi, come quello delle pensioni più sostanziose, il regalo acquisito è semplicemente un furto intergenerazionale.

Arriviamo, così, alla seconda mossa della proposta. Sulla base delle statistiche di cui sopra, si introduca un contributo di equità (attuariale e intergenerazionale) in base al quale chi riceve un assegno pensionistico sopra una soglia minima e il cui rendimento implicito è molto elevato paga un po’ di tasse in più. L’individuazione di una soglia minima sopra cui far scattare il contributo tutelerebbe il principio di equità redistributiva. E il criterio di farlo scattare sopra un rendimento implicito elevato tutelerebbe l’equità attuariale e intergenerazionale, chiedendo qualche sacrificio in più a chi ha avuto troppo dal vecchio sistema.

Le risorse raccolte con un contributo di questo tipo dovrebbero essere usate per contribuire a finanziare sia gli ammortizzatori sociali dei lavoratori flessibili, sia nuove politiche contro le crescenti povertà di un Paese che stagna da due decenni. Se stiamo cercando l’equità, vale la pena farlo a 360 gradi.

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