Si rincorrono voci sull’eventualità che la Commissione Europea chieda all’Italia un ulteriore sforzo di aggiustamento dei conti pubblici o, peggio, che possa aprire una procedura d’infrazione nei confronti del nostro Paese. Il governo Renzi, rispetto all’impostazione iniziale della legge di stabilità, ha già messo più di 4 miliardi sul piatto della trattativa con l’Europa. Ma potrebbero non bastare per placare i falchi pro-rigore.
Nonostante questa concessione del governo alla Commissione, la manovra economica rimane espansiva, a favore della crescita, con una riduzione delle tasse su lavoratori e imprese intorno ai 18 miliardi. Ma probabilmente non tanto espansiva quanto richiederebbe la crisi in cui siamo sprofondati. È per questo che un’ulteriore richiesta di aggiustamento risulterebbe difficile da comprendere, alla luce delle circostanze eccezionali in cui si trova l’economia italiana. Si sta giocando col fuoco. Se l’Europa non capisce l’urgenza di usare i margini di flessibilità contenuti nei trattati esistenti, la sua architettura istituzionale è a rischio di fronte alla stagnazione economica in cui si sta avvitando il continente. I venti del populismo torneranno presto a fischiare.
È vero: l’Italia deve combattere con un problema di fiducia che altri non hanno. La procedura d’infrazione non è un dramma in sé, visto che concede molti margini di flessibilità a chi vi incorre. Ma per un Paese come il nostro, con il suo enorme debito pubblico, potrebbe essere pericolosa per la spirale di sfiducia che innescherebbe nei partner europei e, soprattutto, nei mercati finanziari. La partita è a dir poco delicata.
Sarebbe bene, inoltre, che noi italiani non ci nascondessimo dietro a un dito: quella che stiamo attraversando non è solo una brutta crisi congiunturale. Ci sono nodi strutturali che ci portiamo dietro da decenni e che non siamo stati in grado di risolvere, dall’inefficienza della pubblica amministrazione alla lentezza della giustizia, dalle regole del mercato del lavoro alla concorrenza. Il modo migliore per cambiare l’Europa e contrastare un’interpretazione miope delle sue regole di bilancio è proprio quello di portare presto a casa risultati concreti su questi fronti.