Linkiesta

Lottatori di fumo: quanto ne hanno venduto i politici

Tommaso Nannicini
Democrazia/#factchecking

Le campagne elettorali – è risaputo – non sono il tempo della concretezza. Le promesse si rincorrono come fiocchi di neve al vento. Ma dopo vent’anni di nodi irrisolti, accanto al disincanto, fra i cittadini serpeggia voglia di concretezza. Ecco allora che anche i politici si adeguano e si sforzano di presentare qualche numero. Con i numeri, però, si può mentire facilmente. Basta usarli fuori contesto, inserendoli in una lettura di comodo. Basta stiracchiarli un po’, scegliendone accuratamente uno al posto dell’altro. (Agli amanti del genere, consiglio l’illuminante libretto di Darrell Huff, How to Lie with Statistics, che i nostri politici danno mostra di aver letto con attenzione e che andrebbe insegnato alle superiori.)

È anche per questo che Link Tank, in collaborazione con Lavoce.info e iCheckmate, in questa campagna elettorale ha proposto esercizi di fact checking che non si limitassero alla mera correttezza delle fonti. Non ci interessava appiccicare pecette. Volevamo inserire i numeri in un ragionamento, che evidenziasse la coerenza fra dichiarazioni e numeri usati per sostenerle. Esercizio scivoloso ma, a nostro avviso, utile. Per ridurne la discrezionalità, ci siamo affidati alla trasparenza e al rigore delle assunzioni. Perché se le assunzioni sono trasparenti, poi ognuno può farsi la sua idea. Ragionando, appunto.

C’è di più. Il rapporto dei politici con i numeri rivela qualcosa che va oltre l’esattezza dei numeri stessi. Ci parla di uno stile comunicativo, di un modo d’intendere la politica. Perché in campagna elettorale ogni politico, da bravo lottatore di fumo, usa le statistiche come strumento di combattimento.

PIERLUIGI BERSANI: METAFORICO
Per il Pd, è stato quasi impossibile fare fact checking per l’assenza di appigli. Bersani non ama i numeri. Non perché non li padroneggi, ma perché non li ritiene utili. Esistono due letture di questo stile. La prima, benevola, rimanda all’idea che una visione chiara sulle scelte di fondo possa essere più indicativa di tanti numeri non verificabili. Peccato, però, che anche la chiarezza delle scelte abbia un po’ latitato: molti obiettivi, dalla dignità del lavoro al rilancio della scuola, pochi strumenti concreti per raggiungerli.

Da un secondo punto di vista, la ritrosia numerica nasconde, forse, altro. C’è l’idea, un po’ manichea ma da sempre radicata a sinistra, che tutti i mali del paese siano risolvibili mandando al governo la propria classe dirigente. Perché lì ci sono i Migliori, gli onesti, i competenti. Per la serie: non serve annoiare gli elettori con dettagli inutili, quando saremo al governo li affronteremo. Poco importa che dagli anni ’90 non si sia mai avviata una discussione seria sui meccanismi di selezione, sul rapporto tra professionismo politico e competenze esterne, tra centro e periferia. Il mito resiste.

La ritrosia numerica è anche legata a un modo di fare politica che ha radici nelle direzioni di partito, in fumose riunioni di sezione, dove si partiva dal contesto internazionale per poi passare ai problemi del paese, sempre inserendoli all’interno di una forte visione valoriale. Per alcuni si tratta appunto di visione, per altri di ideologismo. Il confine è labile. E se oggi il politichese non va più di moda, nessun problema: basta rimpiazzare gli slogan con le metafore. Stesso effetto evocativo, ma stesso tasso di concretezza. Soprattutto questo è stato Bersani in campagna elettorale. Metaforico.

SILVIO BERLUSCONI: STRABORDANTE
C’è un solo strumento comunicativo che Berlusconi usa più dei numeri: le barzellette. Per il resto, snocciola numeri in continuazione, sui risultati raggiunti o sugli obiettivi da centrare. È incontenibile. A volte il fact checking è automatico: perché il numero precedente contraddice quello successivo. Altre volte scatta la recidiva: un numero che è già stato smascherato come impreciso è ripetuto purché serva. Come nel caso della panzana che, calcolando il sommerso, il rapporto debito/Pil scenderebbe al 94 per cento, omettendo che il sommerso è già incluso nelle stime Istat del Pil. Questa panzana è stata uno dei primi e dei più facili esercizi di fact checking, ma Berlusconi continua a ripeterla indisturbato (e a nessun giornalista in uno studio televisivo è mai scattata la voglia di farglielo notare).

Ma i numeri, ancorché non sempre precisi, sono efficaci sul piano comunicativo: conferiscono un’aura di concretezza e serietà. Funzionano, in politica come in azienda. Un buon capo sa che, prima di una riunione aziendale, deve svegliarsi presto per masticare tutti i numeri. Può lasciarli enunciare ai suoi collaboratori, ma deve essere pronto a tirarli fuori al momento giusto. Perché i numeri danno potere. E poco male se ogni tanto ci scappa qualche svista: pochi collaboratori avranno il coraggio di rimarcarla. I numeri, giusti e sbagliati, sono centrali nella strategia comunicativa di Berlusconi. Strabordante.

MARIO MONTI: ACCADEMICO
Monti ha dismesso i panni del professore da poco. E si vede. Toqueville ha scritto pagine molto belle sul conflitto tra la forma mentis del politico e dello studioso (dilemma che conosceva bene avendo rivestito entrambi i ruoli). Peter Elbow ne ha discusso qui in maniera mirabile. Ogni volta che parla, lo studioso ha la tentazione di anticipare le obiezioni, di avventurarsi in un labirinto di frasi subordinate piene di ammonimenti. Ogni volta che riceve una domanda, ha la tentazione di esordire con l’esiziale “fatemi fare una premessa”, che spegne subito le sinapsi di chi ascolta.

A volte, questo puntiglio aiuta a mettersi al riparo dalle critiche, come nel caso della nota dichiarazione di Monti sul fatto che con “con 100 punti di spread in meno si avrà un risparmio di 20 miliardi a regime”. Vera solo perché “a regime”, quando la riduzione dello spread avrà raggiunto quello che gli economisti chiamano stato stazionario. Più che ripararsi dalle critiche degli esperti, però, i politici dovrebbero farsi capire dagli elettori. E lo stile di cui sopra non è granché sul piano comunicativo. Niente metafore o numeri roboanti per Monti: meglio precise e puntigliose note a margine. Accademico.

BEPPE GRILLO: APOCALITTICO
Anche Grillo, come Berlusconi, sembra credere nell’efficacia dei numeri come strumento comunicativo. Ma il postcomico genovese li usa per un unico scopo. Non ha bilanci di governo da difendere o promesse elettorali da rendere credibili. Vuole solo far passare il messaggio che viviamo nel peggiore dei mondi possibili. Secondo Karl Popper, un marxista non può fare a meno di svegliarsi la mattina senza leggere sui giornali la conferma che il fiume della Storia sta andando nella direzione da lui indicata. Grillo fa lo stesso: selezionando chirurgicamente dati su imprese che chiudono, costi che salgono, corruttele che si ramificano, senza preoccuparsi troppo del contesto, delle comparazioni o delle soluzioni. Gli unici numeri che ama citare sono di per sé uno Tsunami. Apocalittico.

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