Linkiesta

Mancano una dozzina di senatori per far scattare il referendum contro il taglio dei parlamentari

Pietro Mecarozzi
Democrazia/#Referendum

A inizio ottobre il Parlamento ha approvato in via definitiva il disegno di legge costituzionale per la riduzione del numero di deputati e dei senatori. Bandiera e orgoglio del Movimento 5 Stelle, la riforma, per contenuti e struttura, non ha convinto una buona fetta di parlamentari e dal giorno successivo al voto è pertanto cominciata una raccolta firme trasversale per portare il quesito ai cittadini attraverso un referendum. Qualora i senatori firmatari dovessero raggiungere il quorum entro il 12 gennaio, la decisione finale per la riforma stessa verrà trasferita ai cittadini, in tutto e per tutto. A capo della raccolta c’è il senatore del Pd Tommaso Nannicini, che a Linkiesta spiega come «al Senato al momento sono 52 i senatori firmatari su 64 da raggiungere». E di come l’obiettivo finale sia superiore al mero taglio del «numero dei parlamentari, a mio avviso, coda e non testa di una riforma costituzionale», ma piuttosto diretto a «garantire che non scompaia la rappresentanza di interi territori o di forze politiche che adesso non avrebbero diritto neanche a un posto in tribuna».

Andiamo con ordine: Nannicini, come procede la raccolta firma tra i senatori per il referendum confermativo?
Il referendum è stato promosso da un gruppo trasversale di parlamentari, appartenenti a gruppi diversi, che voteranno in maniera diversa, perché non è un comitato per il no e l’ultima parola spetta ai cittadini. Per trasferire la decisione a quest’ultimi, al Senato dobbiamo arrivare a 64 senatori firmatari e al momento siamo a 52. Il quorum va raggiunto entro il 12 gennaio.

Perché ha sentito l’esigenza di promuoverlo?
Per varie ragioni. La prima: per il semplice fatto che la riforma costituzionale in questione ha avuto una scarsissima discussione pubblica, quindi mi auguro che ci sia un supplemento, visto che la qualità delle istituzioni riguarda tutti, non solo i politici. C’è poi il punto di merito: il numero dei parlamentari deve essere la coda, non la testa di una riforma costituzionale. Si può anche ridurre il numero, ma all’interno di una riforma sensata. L’azione del Movimento 5 Stelle è partita solo per strizzare l’occhio a un orientamento culturale anticasta e antipolitica, che ha già fatto molti danni in questo Paese.

Quali aggiustamenti inserirebbe?
Devono esserci tutta una serie di pesi e contrappesi inseriti in una riforma più ampia, in vista anche del cambio di legge elettorale, che garantiscano la sopravvivenza della rappresentanza di interi territori o di forze politiche che adesso non avrebbero diritto neanche a un posto in tribuna. In aggiunta a una serie di riforme dei regolamenti parlamentari per l’elezione degli organi di garanzia e di quei correttivi che possono dare un senso alla riduzione del numero dei parlamentari. Che al momento è solo l’ennesima sbandata antipolitica.

Sbandata politica che secondo i pentastellati porterà notevoli benefici economici al sistema politico…
Minore rappresentanza, minore qualità delle istituzioni, significano minore qualità della democrazia. Per quanto riguarda la questione dei costi, credo che sia una storia che non sta né in cielo né in terra. Parliamo di risparmi insignificanti per il bilancio dello Stato. Tra l’altro, se davvero abbiamo a cuore la qualità del lavoro parlamentare riduciamo pure il numero dei politici ma quei soldi usiamoli per dare staff, servizi studi e tecnici di supporto alle attività dei parlamentari. Altrimenti nella dialettica Parlamento-governo a rimetterci sarà sicuramente lo spessore del lavoro: penso al Parlamento europeo, dove le risorse per lo staff sono molto maggiori, non perché è un lusso, bensì perché migliora l’operato delle istituzioni.

C’è anche chi di questi soldi non ne fa un buon uso…
Certo, ma allora controlliamo la selezione dei politici, controlliamoli e miglioriamo gli standard per rimanere in Parlamento. Per esempio un intervento da fare subito sarebbe quello di aumentare i controlli e la trasparenza sui rimborsi per le spese per l’attività politica. Questa sarebbe una battaglia sensata per ridurre certi privilegi. Resta invece il fatto che delegare qualcuno senza dargli le risorse per lavorare al meglio è un errore che paghiamo tutti.

Riuscirete a raggiungere il quorum in tempo o la tutela per la tenuta del governo avrà la meglio?
Le firme stanno arrivando da tutti i partiti, 5 stelle inclusi. Non si tratta di mettere in discussione l’accordo di governo. Poi io sono convinto che questa iniziativa serva proprio al Pd, per esempio per motivare il fatto di aver votato tre volte no (prima del quarto voto ad alleanza e governo formato) e per valorizzare le richieste che abbiamo fatto prima di accettare il taglio dei parlamentari – come una nuova legge elettorale. Tenere aperta la strada del referendum significa anche verificare e controllare che le nostre richieste non restino solo sulla carta. Chiedere un referendum confermativo non vuol dire andare contro la riforma. Se arriveranno i correttivi richiesti dal Pd, anch’io voterò sì.

Quindi?
Come diceva Andreotti, “a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina”. Pertanto credo che se arriveremo al quorum non sarà per un ripensamento sulla qualità delle istituzioni democratiche, ma piuttosto per calcoli in vista di elezioni ravvicinate. Se si vota prima, col referendum convocato, il taglio non scatta nelle prossime elezioni politiche. Detto questo, quale che sia il motivo, l’importante è che il referendum si faccia e i cittadini abbiano l’ultima parola.

 

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