Linkiesta

Manuale (clandestino) della rottamazione intelligente

Tommaso Nannicini
Democrazia/#fascismo

Chiunque visiti le Fosse Ardeatine, accanto a memorie di forte commozione, troverà, nelle piccole sale adibite a museo, alcuni giornali clandestini della Resistenza, tra cui una copia di “Libertà” (giornale clandestino dell’Unione goliardica per la libertà) datata 1 maggio 1944. In un pezzo dal titolo “Il nostro posto”, un anonimo editorialista s’interroga sul rapporto tra gioventù e impegno politico, anche alla luce degli scenari che si aprono con la caduta del fascismo. Soltanto un folle si lancerebbe in parallelismi tra quella e circostanze odierne. Ma, proprio se rapportate al momento drammatico che il nostro paese stava vivendo in quel frangente, le parole di questo (allora giovane?) editorialista spiccano in tutta la loro lucidità. Un piccolo manuale (clandestino) della rottamazione intelligente. Qui sotto, ne trascrivo alcuni stralci. Non servono chiose.

 

Il fascismo diceva “largo ai giovani”. Era andato al potere, effettivamente, con un gran numero di giovani; il suo capo, Mussolini, divenne presidente del consiglio a meno di quarant’anni, gli altri esponenti, ministri o sottosegretari, capi di grandi organizzazioni, ambasciatori generali, prefetti e via dicendo erano ancora più giovani di Mussolini. Il fascismo fu una specie di ubriacatura giovanile. L’esperienza, il buon senso, la moderazione, l’equilibrio che si acquistano soltanto con l’età non contavano più nulla: contavano certi elementi esterni, fra i quali la giovinezza, quella del calendario s’intende, era forse il più il più importante. In Italia non si erano mai visti salire a posizioni preminenti uomini dell’età di Grandi, Balbo, Bottai. A un certo punto l’ubriacatura diminuì, perché i giovani del ‘22 incominciarono a invecchiare, mettevano pancia, i capelli sulle loro tempie diventavano grigi e volevano restare ai loro posti tranquillamente. Ma la mania dei giovani non passò mai del tutto. (…)

Probabilmente Mussolini si fidava di più dei giovani che, meno esperti, meno noti non potevano mettersi in concorrenza con lui, e lo lasciavano dominare con maggiore autorità; per questo forse, oltre che per ovvi motivi di demagogia, ogni tanto tirava fuori qualcuno dal mazzo e lo faceva salire ai posti di comando.

Un movimento politico serio, anti fascista e anti demagogico non dirà mai “largo ai giovani”, perché i giovani se valgono si fanno largo da sé, e se non valgono è meglio che restino indietro e ubbidiscano. Ma in realtà tutti, anche chi ha pochissima esperienza, capiscono che, prima o poi, per forza di cose i giovani si fanno avanti, si affermano e prendono il posto degli anziani. Il problema non sta nel far loro largo (o nel contrario); il problema sta nel prepararsi, educarsi, istruirsi, nell’addestrarsi alla vita politica, al senso della responsabilità, ai dibattiti, alla critica. Proprio il contrario di quello che avveniva prima. (…)

Impostata così la questione ci pare chiaro quali siano i nostri compiti, la funzione di noi giovani. A noi tocca il posto di maggior pericolo, la prima linea. E, richiamandoci al nostro ragionamento di prima, dobbiamo aggiungere che non intendiamo combattere per conquistare la greca di generale o anche, più modestamente, l’aquila di ufficiale di stato maggiore. Ma intanto, pur nelle difficoltà e nelle ansie di questa battaglia spesso poco vistosa ma sempre grave e rischiosa, prepararci, educarci come possiamo, tenerci in contatto tra noi, arricchire di nuovi elementi le organizzazioni, assistere di consigli e di aiuti chi si trova in necessità, orientarci verso le correnti della politica e della cultura antifascista. (…)

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