Gli scienziati sociali, avendo a che fare con le decisioni (e le debolezze) umane, rischiano spesso di emulare il proverbiale Strolago di Brozzi. Al secolo Sesto Caio Baccelli, astrologo e cabalista toscano vissuto intorno al 1600, rimasto famoso nell’immaginario popolare per riconoscere i pruni al tatto (e anche qualcos’altro). Di fronte alla transizione dal franchismo alla democrazia e a una crescita economica scoppiettante, l’occupazione principale era quella di studiare le cause del “miracolo” spagnolo.
Adesso che la bolla immobiliare è scoppiata, banche e comunità autonome rischiano la bancarotta, la disoccupazione è alle stelle, ci si interroga sul “disastro” spagnolo. Ma la tentazione di strologare, anche per chi scrive, è irresistibile. Cosa è successo? In verità, le due fasi sono collegate. E il filo rosso che le unisce è la miopia di una classe dirigente che non ha posto per tempo il sentiero della crescita su basi solide. Lo so: facile a dirsi, complicato a farsi. Ma alcuni osservatori avevano messo in guardia che il miracolo economico della Spagna si reggeva su basi d’argilla (si pensi al sociologo liberale Victor Pérez-Diaz, che pure aveva raccontato il successo della transizione e del risveglio della società civile). Si trattava, infatti, di una crescita economica “estensiva”, sospinta dall’edilizia e basata su incrementi nell’uso dei fattori produttivi, piuttosto che di una crescita “intensiva” fondata su aumenti di efficienza e produttività.
Ci si sarebbe dovuti porre il problema nei tempi di vacche grasse, piuttosto che alimentare una spirale del debito dei privati e delle amministrazioni locali. Il caso delle comunità autonome è esemplare. Governi locali che finora facevano a gara per nascondere conti in dissesto, hanno iniziato la corsa a dichiarare bancarotta, nella speranza di essere salvati prima che finiscano i soldi a livello centrale. Un classico caso di circolo vizioso, innescato da quelli che gli economisti chiamano “vincoli di bilancio soffici”.
Per la serie: difficile tenere a freno la voglia di spendere di politici locali che fronteggiano aspettative di crescita effervescenti e la speranza di poter scaricare i debiti sullo stato, qualora qualcosa vada male. La domanda, allora, è perché il sistema politico-istituzionale incentrato su un bipolarismo a partiti dominanti (Psoe e Ppe) non abbia messo in moto i necessari anticorpi. Per carità, la politica ha garantito stabilità e decisione nelle scelte di governo alla giovane democrazia spagnola, anche grazie a una costituzione materiale che ha permesso al partito vincente di governare perfino senza maggioranza parlamentare. La transizione resta una storia di indubbio successo.
Ma i due partiti hanno finito per adagiarsi sugli allori. I partiti spagnoli sono organizzazioni fortemente gerarchiche e chiuse all’esterno. Il sistema elettorale con liste bloccate (anche se corte) regala un forte potere alla leadership e premia il conformismo di partito (o di clan) rispetto alla competenza. L’ideologizzazione dello scontro sotto i governi Zapatero ha ulteriormente favorito la chiusura intorno a uno zoccolo duro di militanti e dirigenti tradizionali. Rajoy, le cui doti di leadership e la cui visione strategica non brillano, ha potuto candidarsi per ben tre volte grazie a un controllo ferreo sulla struttura di partito.
Insomma: al riparo dalla competizione esterna o interna, la selezione della classe politica ha finito col peggiorare. Ma nessuna rendita è eterna (come sta imparando anche la classe politica della Seconda repubblica italiana). Incapaci di trovare voce all’interno dei partiti tradizionali, le istanze di rinnovamento degli elettori spagnoli potrebbero cominciare a guardare al di fuori del bipolarismo. È quanto suggeriscono le ultime indagini d’opinione.
Secondo un sondaggio commissionato dal quotidiano el Mundo, la popolarità del governo Rajoy è al minimo. Il Ppe, rispetto alle elezioni di novembre, perderebbe 9 punti percentuali se si votasse oggi. Ma, sorpresa delle sorprese per i commentatori spagnoli (un po’ meno per noi italiani), il Psoe crescerebbe soltanto di 0,8 punti percentuali. Ad avvantaggiarsene sarebbero l’estrema sinistra di Iu (5 punti) e il partito centrista Upyd (3 punti). Insomma: il bipolarismo a partiti dominanti comincia a scricchiolare. Il sistema dei partiti potrebbe avventurarsi presto verso territori inesplorati. Ma su questo ci sarà tempo per strologare. Dateci qualche anno.
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