Il Foglio

Nannicini vuole uno Stato emancipatore

Luciano Capone
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Roma. “Non serve un decreto al mese, come se dovessimo tappare una crisi temporanea. Ma uno sguardo lungo, che anticipi le crisi dietro l’angolo: una occupazione e una del debito nel 2021”. Tommaso Nannicini, economista e senatore del Pd, è critico rispetto all’impostazione del governo sulla Fase 2. Cosa non la convince? “L’illusione di andare avanti con bonus a pioggia e con un orizzonte temporale che arriva fino all’estate.  Bisogna invece pensare a un nuovo welfare che guardi ai prossimi anni”. (Capone segue a pagina tre)

Qualche indicazione sul futuro il suo partito, con il vicesegretario Andrea Orlando, l’ha data: un ruolo importante dello stato nelle scelte delle imprese. Prestiti in cambio di condizioni su livelli occupazionali e investimenti. “È una posizione politica chiara, già sostenuta da Di Maio ai tempi del decreto dignità – risponde Nannicini – ma ha aumentato la rigidità piuttosto che la dignità”. Dopo le polemiche sull’ingresso della politica nei cda delle imprese, Orlando ha però spiegato che non vuole che lo stato entri nella governance “Ma la toppa è peggio del buco. Se vuoi dire alle imprese quante persone devono assumere e come devono investire, abbi il coraggio di entrare nella governance, invece di mettere paletti burocratici senza senso che creano costi e incertezza. Abbi il coraggio di fare lo Stato imprenditore, non lo Stato rompiballe”. Lo stato imprenditore non l’entusiasma. “Guardi, a me il grande pianificatore non piace. Ma se vuoi pianificare devi farlo bene. Amazon forse lo sa fare, lo stato italiano un po’ meno. Ne abbiamo avuto un esempio con il prezzo delle mascherine”.

Cosa deve fare quindi il pubblico? “Ora servono nuove Luxottica e nuovi Cucinelli, non nuove Alitalia. Non ci serve uno Stato imprenditore, un nuovo Iri, ma uno Stato emancipatore”. Cioè? “Uno stato che fa tante cose, anche entrando nel capitale di poche grandi imprese strategiche, ma soprattutto facendo bene quello che dovrebbe fare e ora non fa. Pagare la cassa integrazione in tempo, investire nelle infrastrutture fisiche e digitali, favorire gli investimenti nella riconversione tecnologica ed ecologica, garantire il diritto a istruzione e formazione per tutta la vita”. Quindi niente condizioni sugli aiuti alle imprese? “Intendiamoci, puoi mettere anche regole che combattano l’elusione fiscale internazionale e anche favorire la partecipazione dei lavoratori, perché è un bene se i sindacati entrano nei cda, non se lo fa la politica. Ma non puoi dettare i livelli occupazionali e le strategie investimento”. L’obiettivo è tutelare i posti di lavoro. “Ciò che conta è il livello occupazionale aggregato, non quello aziendale. Il lavoro lo difendi se permetti alle imprese di ristrutturarsi. Puoi accompagnare la trasformazione, ma lascia la libertà di decidere quanti occupati servono per rilanciare la produttività. Tutti questi vincoli che nessuno può controllare creano incertezza e distorcono le decisioni”. È il solito dibattito sulla difesa del posto di lavoro o del lavoratore. “Ormai un dibattito senza senso. Prima si poteva pensare di rallentare il cambiamento e la produttività per difendere i posti di lavoro. Ma ora il tessuto produttivo deve fare un aggiustamento enorme, e lo deve fare velocemente. Prima in anni, ora in mesi”. Non si risolverà la crisi occupazionale bloccando i licenziamenti? “Se si pensa di difendere i livelli occupazionali di ogni singola azienda, si faranno solo danni. Crollerà l’occupazione di tutti, colpendo i lavoratori più deboli. Questa pandemia è stata come uno tsunami in cui non avevamo case di cemento ma di bambù. Se qualcuno ora s’illude di reggere le canne con le mani, invece di costruire case solide, la crisi occupazionale e sociale esploderà presto”. E come si tutelano i lavoratori, con il reddito di cittadinanza? “Certo che no. Serve un salario di disoccupazione, una Naspi rafforzata. E poi vanno aiutati nella formazione e a spostarsi dove c’è la domanda di lavoro. Abbiamo fatto l’app Immuni, ora facciamo l’app Occupati”. Anche lei con la app per i navigator, come il presidente dell’Anpal Parisi? “Per l’Anpal serve una nuova guida, l’attuale presidente è chiaramente incompatibile da statuto e inadeguato rispetto alla sfida. Dobbiamo ripensare le politiche del lavoro con nuove idee e risorse”.

Prima parlava di incertezza. Chi sarà responsabile in caso di contagio sul luogo di lavoro? “Non basta fare i protocolli. Servono più risorse, controlli e ispettori. Già prima del Covid morivano tre persone al giorno sul lavoro, ora si aggiunge il tema della biosicurezza. Lo stato deve assistere le imprese, chiarire le responsabilità dei datori di lavoro e non solo. Per esempio deve chiarire che se la mobilità non è sicura, il lavoratore non è ingiustificato se non si reca sul luogo di lavoro. Servono certezze e tranquillità. Altrimenti non si riparte”.