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«Non ci resta che crescere»

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Tre giorni. Numeri biblici per la politica defunta del governo Berlusconi, dettati dall’Unione europea retta da chi gli ride non alle spalle, ma in faccia. Le 72 ore fatidiche che hanno impresso velocità a chi per settimane non ha fatto sostanzialmente nulla, se non annunciare per poi disfare, si giocano sulle pensioni. Degli altri, ovviamente. E così si celebra la rottura fra la Lega – qui in versione di lotta – e il Pdl, per le affermazioni del presidente del consiglio che chiede la riforma delle pensioni. Non ci resta che crescere è una frase che indica l’unica direzione di uscita dalla crisi, che oltre che finanziaria ed economica è ormai soprattutto sociale.

 

Il professor Tommaso Nannicini, docente alla Bocconi, ha scelto quella frase per una antologia di brevi saggi che raccoglie firme prestigiose dell’economia e del giornalismo, analisti rinomati (qui la lista), che provano a suggerire alla politica cosa e come fare.

“È il contributo di esperti di settore e studiosi di singoli temi al dibattito politico. Se la politica non sa fare il suo mestiere si danno suggerimenti. Su cosa e come fare”.

Stiamo sul tema del giorno: le pensioni. Nella sua introduzione il problema ‘giovani’, proprio in termini redistributivi nell’impegno del welfare, diventa uno dei punti chiave delle riforme.

Lo era già dal 1997, ultimo governo Prodi. Già allora era nota a tutti l’esigenza di riequilibrare il nostro sistema di stato sociale, riducendo la spesa per tutelare la vecchiaia e nel contempo dirigere i fondi su altri temi di welfare, per esempio la disoccupazione che riguarda moltissimi giovani. Il nostro punto di vista è che ci vorrebbe una politica capace di avere una visione complessiva, e non solo quando gli ordini vengono dall’esterno. Questo non fa altro che favorire soluzioni da tecnocrati. I nostri politici alla fine dicono: me l’hanno detto, devo farlo.

La famosa lettera ‘segreta’ della Bce, ma soprattutto l’incalzare di decisioni che scavalcano sempre più la dimensione nazionale ci dicono che siamo ormai arrivati a una specie di coercizione dei guardiani Ue.

il problema è soprattutto italiano perché qui il biasimo oltre che agli organismi che ci danno certe ricette, va alla politica italiana. Le scelte di politica economica sono tarate ormai su geometrie europee. D’altronde, se lasci spazi vuoti, altri li riempiono, anche perché le scelte riguardano sempre più gli europei che i singoli popoli dei singoli stati. La politica italiana è incapace: non è capace di fare quelle scelte che noi diciamo servirebbero per tornare a crescere. Il nodo della sostenibilità dei conti pubblici non è solo un nodo finanziario, ma soprattutto di sviluppo.

Lei è ottimista?

Sì sono ottimista. Nel libro ci sono molti elementi per essere pessimisti. Molto parlare di riforme e nessuna decisione, un declino inesorabile vero cui ci stiamo avvicinando, ma resto ottimista perché penso che i costi del mancato rinnovamento iniziano a essere visibili alle famiglie italiane e queste iniziano a creare una domanda rivolta alla politica, una domanda di riforme e quando c’è un vuoto qualcuno si fa carico di riempire quel vuoto. Una rottura che ci faccia allontanare da quello che nel saggio abbiamo definito il dolce declino.