Corriere della Sera

Oltre l’austerità ma rimanendo nell’euro

Tommaso Nannicini, Andrea Roventini, Giovanni Dosi, Marco Leonardi
Economia/#austerity#economia#euro

Caro direttore,

questa lettera aperta è sottoscritta da economisti di tendenze politiche molto diverse, accomunati però dalla preoccupazione riguardante le politiche macroeconomiche in Italia e i nostri rapporti con l’Unione Europea, la discussione dei quali sembra polarizzata tra chi invoca l’inevitabilità dell’obbedienza a regole di rigore che paiono di provenienza divina e chi sconsideratamente invoca l’uscita dall’euro come soluzione di ogni male.

Le due premesse fattuali sono, primo, che l’austerità ha fallito non solo in Italia ma in tutta l’area euro e, secondo, che la quasi stagnazione economica rende il peso del debito insostenibile nel lungo periodo in diversi Paesi dell’area Euro. Persino la Germania cresce a tassi che in altri tempi sarebbero stati considerati deludenti, ma le regole deflazioniste oggi prevalenti rendono impossibile qualsiasi misura keynesiana di rilancio.

Ci sono però parecchie cose che si possono fare.

1) Il Fiscal Compact è scaduto: non va sicuramente rinnovato se non dopo averlo rivoltato per bene, per esempio con l’esclusione degli investimenti in infrastrutture e ricerca dal computo del deficit e con una revisione degli algoritmi per il calcolo del prodotto potenziale.

2) Occorre resistere a ogni pressione per una ulteriore “nazionalizzazione dei rischi”, per esempio rifiutando la proposta di porre dei limiti ai titoli di Stato nazionali nei bilanci delle banche.

3) È necessario un piano per arrivare a una vera unione fiscale europea. L’Unione Monetaria Europea ha urgente bisogno di una politica fiscale comune che attenui le fluttuazioni cicliche e promuova gli investimenti e l’occupazione. Allo stesso modo, va eliminata la concorrenza fiscale tra i Paesi europei.

4) Bisogna essere coraggiosi e andare oltre un meccanismo di backstop per l’European Stability Mechanism (il cosiddetto Fondo Salva Stati). È necessaria una vera unione bancaria europea, un’assicurazione dei depositi comunitaria e la BCE deve poter diventare una vera banca centrale assumendosi anche il ruolo di prestatore di ultima istanza, come ha già sostanzialmente fatto negli ultimi anni.

5) Alcuni di noi propongono l’uso del «Fondo Salva Stati» come veicolo per l’assicurazione dei debiti nazionali con l’obiettivo di far convergere le curve dei rendimenti dei titoli di Stato di tutti i Paesi e reinvestire i proventi derivanti dai premi di assicurazione nei Paesi che li hanno pagati. Altri sostengono la proposta dei «synthetic bonds» o «safe assets» (ESBies) come paniere di titoli di Stato di Paesi diversi. Sono possibili diverse soluzioni che tendono a una condivisone dei rischi tra i Paesi europei, ma nessuna di queste costituisce una scusa per uscire dall’Euro.

6) È urgente discutere di un sussidio di disoccupazione europeo (anche se soppesato con i diversi poteri d’acquisto nazionali) che può svolgere il ruolo di stabilizzatore automatico durante i periodi di crisi, promuovendo la convergenza delle economie europee.

Sono questi i punti che il nuovo governo dovrebbe mettere al centro delle negoziazioni con l’Unione Europea.

Al tempo stesso è più che urgente smettere di parlare irresponsabilmente di un’uscita dall’Euro. I firmatari di questa lettera hanno opinioni diverse sull’euro stesso. Alcuni di noi pensano che non avrebbe mai dovuto nascere prima di una vera Unione politica e fiscale. Altri pensano che era ed è un’ottima idea, semplicemente con qualche difetto nella sua realizzazione. Ci accomuna però l’idea che le difficoltà strutturali dell’Italia in termini di produttività e crescita non siano colpa dell’euro e che uscirne sarebbe un disastro. Oltre alla turbolenza finanziaria che provocherebbe, l’uscita dall’euro porterebbe inevitabilmente alla svalutazione dei risparmi e dei salari dei lavoratori italiani. E se a ciò sommiamo la flat tax andiamo direttamente nell’Argentina delle crisi più drammatiche con aumenti inaccettabili della disuguaglianza sociale.