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«Pensione di garanzia per i giovani»

Alessia Gozzi
Economia/#giovani#politica#riforme

«Prima eliminiamo il tema dei voucher dal dibattito, meglio è: sono un’arma di distrazione di massa». Certo, ammette Tommaso Nannicini, «ora serve uno strumento sostitutivo, soprattutto per le famiglie». Il prof bocconiano non è più a Palazzo Chigi come sottosegretario, ma resta sua la regia delle politiche economiche targate Pd che, poi, finiscono sul tavolo del governo. Non rinnega il passato («la direzione era giusta») e traccia il nuovo orizzonte che Renzi ha fatto suo nella mozione congressuale: dote contributiva e pensione di garanzia per i giovani, assegno universale e riforma dell’Irpef che inglobi gli 80 euro.

Dopo il 4 dicembre è partita la corsa a smontare quando fatto dal governo Renzi. Ora tocca ai voucher.
La tentazione di cancellare tutto, di fare un reset, è conseguenza di una politica che vive giorno per giorno, piantando bandierine ideologiche. Il tema dei voucher, che tra l’altro, non sono una misura del governo Renzi, sono un’arma di distrazione di massa rispetto ai temi del lavoro: mi preoccupa molto di più la precarizzazione attraverso le false partite Iva. Non puoi abolirle, devi far funzionare le restrizioni. Cancellare i voucher è il riconoscimento che il lavoro si fa attraverso contratti, ma resta l’esigenza di regolamentare i lavori meramente occasionali che, altrimenti, rischiano di tornare nel nero».

Serve uno strumento ad hoc o basta modificare l’esistente?
«Per le famiglie servono strumenti nuovi, da costruire nel confronto con le parti sociali, sull’onda del modello francese che garantisce l’emersione e la professionalizzazione dei servizi alla persona. Sul fronte delle imprese, si può lavorare su molte cose come sull’eliminazione dei limiti anagrafici per il lavoro a chiamata».

A proposito di reset, il ministro Calenda ha criticato la politica dei bonus. È ora di rivedere quello degli 80 euro?
«Non conosco le affermazioni del ministro, ma il tema dei bonus è un po’ una caricatura giornalistica: si tratta di strumenti di incentivazione fiscale. Anche Industria 4.0 è piena di bonus: non è che per le imprese fanno bene mentre per le famiglie sono mance. Gli 80 euro erano una misura congiunturale per dare ossigeno subito, adesso serve una riforma strutturale dell’Irpef che li inglobi e prosegua la riduzione delle tasse per i redditi medio-bassi».

Come la decontribuzione per i nuovi assunti: secondo alcuni ha prodotto pochi posti a fronte di 19 miliardi di costo.
«Oltre ai nuovi posti ci sono anche le trasformazioni. L’obiettivo di dare una spinta alle stabilizzazioni è stato centrato, adesso la sfida è la sostenibilità dello sgravio».

Attraverso quello che lei ha definito “lavoro di cittadinanza”?
«Si tratta di un tema più ampio che comprende un investimento sulla formazione, anche perché manca la terza gamba del Jobs act, le politiche attive. Poi c’è il costo del lavoro: un taglio strutturale del cuneo contributivo senza impattare sulla pensione futura».

Intervento costoso: ogni punto vale 2,5 miliardi.
«Bisognerebbe agire su due binari: un piccolo taglio strutturale per tutti e una decontribuzione forte per i giovani. Spostando l’enfasi dall’azienda alla persona, diamo ai giovani una dote contributiva personale da portarsi dietro se l’azienda non li stabilizza, in modo da rafforzare il loro potere contrattuale ed evitare gli effetti perversi dell’incentivo».

Tutti soldi che deve mettere lo Stato?
«Serve un mix, dal recupero di base imponibile alla digitalizzazione della pubblica amministrazione. Ma il punto è che bisogna ridisegnare il sistema, ad esempio creando una pensione contributiva di garanzia per i giovani e, per i redditi più alti, forme di incentivazione della previdenza complementare. Tutti temi che vanno affrontati nella fase due dell’accordo con le parti sociali».