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Pensioni d’oro, il diavolo sta nei dettagli

Tommaso Nannicini, Tito Boeri
Welfare/#pensioni

Si continua a discutere di un prelievo sulle pensioni più alte. Da calcolare non solo sull’ammontare, ma considerando anche il rendimento dei contributi versati. Il gettito sarebbe limitato. Tuttavia garantirebbe un flusso annuo di risorse utili per interventi di welfare.

LA PENSIONE DI MICHELE
In una serie di articoli, abbiamo proposto un contributo di equità sulle pensioni che chieda di più “a chi ha avuto di più”, imponendo un prelievo sui redditi da pensione che superano sia un certa somma sia un certo rendimento implicito dei contributi versati, utilizzando quindi una doppia soglia d’intervento. Ci torniamo perché due punti che sono emersi nella discussione sul tema meritano qualche approfondimento.

Nella puntata di “Servizio Pubblico” dell’8 novembre (minuto 2:08:00), l’ingegnere Michele (livornese doc, pensionato con circa 40 anni di contributi e 7mila euro di pensione lorda al mese) si è scontrato con Matteo Renzi sulla sua proposta di taglio alle pensioni d’oro e d’argento. L’argomento di Michele è vicino alla filosofia del nostro intervento: basta con un approccio meramente “quantitativo” che guarda solo all’ammontare della pensione, serve un approccio “qualitativo” che distingua dagli altri chi riceve un reddito commisurato ai contributi versati. Questa esigenza continua a essere ignorata da chi ripropone il contributo delle pensioni come uno strumento per far cassa, ma anche dal Governo che spara nel mucchio con gli strumenti della deindicizzazione e del contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro.
Per rendere esplicito il suo argomento, Michele ha calcolato a quanto dovrebbe ammontare la sua pensione usando un qualche rendimento “standard”, il più vicino possibile alle regole del contributivo, piuttosto che le regole generose del retributivo. Riportiamo in un file Excel allegato i calcoli che ci ha gentilmente girato. Naturalmente, si basano su alcune semplificazioni, ma non può essere altrimenti visto che i tassi di rendimento del sistema contributivo sono disponibili solo a seguito della riforma Dini del 1995. Ognuno di noi, con un po’ di pazienza, potrebbe seguire il suo approccio e fare un calcolo simile.
Di fatto, Michele ha rivalutato i suoi contributi utilizzando il tasso ufficiale di sconto della Banca d’Italia fino al 1995 e i coefficienti Inps del contributivo (legati al Pil) dal 1996 al 2010. Un totale di contributi brutalmente versati di circa 1 milione 260 mila euro produce un montante rivalutato al termine della vita lavorativa (61 anni) di poco superiore ai 2 milioni di euro. In base all’aspettativa di vita a quell’età, si arriva facilmente a calcolare una pensione annua sopra i 100mila euro, superiore a quella percepita da Michele.

I RENDIMENTI DEI CONTRIBUTI VERSATI
La storia di Michele esemplifica bene perché serva una doppia soglia: non tutti si sono avvantaggiati nello stesso modo dal vecchio metodo retributivo perché prevedeva tetti all’ammontare delle pensioni e soprattutto perché era particolarmente vantaggioso per chi andava in pensione prima possibile. Ma i detentori di pensioni d’oro non s’illudano troppo. È ipotizzabile che proprio nelle pensioni più alte si annidino i rendimenti maggiori, perché parliamo di carriere lavorative per cui lo stipendio è aumentato molto, soprattutto verso la fine della carriera,fattispecie che gonfiava il regalo del retributivo. A volte, della norma si abusava volutamente, come nel caso di avanzamenti di carriera “ad hoc” negli ultimi anni di lavoro nelle forze armate o nella burocrazia pubblica (ministeriali, dipendenti di Regioni a statuto speciale, come la Sicilia). In altri casi, però, l’ammontare degli assegni potrebbe essere piccolo anche in presenza di rendimenti astronomici, come nel caso dei “regali” concessi a intere categorie (per esempio, alcune coorti di coltivatori diretti, artigiani e commercianti che sono andati in pensione percependo pensioni retributive da lavoratori dipendenti pur avendo versato solo il 12,5 per cento dei loro redditi da lavoro). Semplicemente non lo sappiamo. Perché nessuno si preoccupa di rendere disponibili i dati che permettano di fare i conti.

IL GETTITO ATTESO DEL CONTRIBUTO D’EQUITÀ
La necessità di una seconda soglia (tarata sul rendimento dei contributi versati) implica però che il gettito che possiamo aspettarci dalla nostra proposta di contributo d’equità sarà limitato. Rendiamo disponibile il file Excel che abbiamo usato per fare alcune semplici simulazioni a titolo d’esempio. Il file permetterà a ciascun lettore di definire l’aliquota del contributo per ogni scaglione di reddito da pensione, e la soglia di reddito minima sopra cui far scattare il prelievo. Il file calcolerà quindi il gettito atteso e l’ammontare medio del sacrificio mensile richiesto a ogni scaglione. Ci sono due fogli, uno basato sull’ammontare lordo e uno sull’ammontare al netto dell’Irpef. Per ogni foglio, ci sono due tipologie di prelievo: su tutto il reddito o solo sulla parte di reddito eccedente la soglia minima specificata (ovviamente, solo di esempi di massima si tratta e se uno fa scattare l’una o l’altra ipotesi può aggiustare le aliquote di conseguenza).

A nostro avviso, per quanto ognuno possa giocare con i parametri a seconda delle proprie preferenze, il messaggio è chiaro: il gettito che ci si può attendere (e non stiamo ancora considerando la seconda soglia sul rendimento, per mancanza di dati) è davvero limitato. Anche nell’ipotesi più draconiana di un prelievo calcolato su tutto il reddito lordo, si supera di poco il miliardo. Rispetto alle vecchie simulazioni del nostro articolo, le aliquote di base contenute nel file Excel corrispondono a un prelievo molto progressivo, che lascia indenni le pensioni sotto ai 2.886 euro lordi (2.096 netti), sei volte la minima, e arriva fino a un’aliquota massima del 15 per cento sulle pensioni molto alte. Già in questo caso il contributo mensile richiesto a molti scaglioni è a dir poco rilevante: circa 5mila euro per assegni in media di 33mila euro al mese. Ma il gettito è, appunto, limitato.
Questo non implica che ci siamo pentiti della nostra proposta, che garantirebbe un flusso annuo di risorse fino alla completa transizione al sistema contributivo, senza sparare nel mucchio come gli strumenti utilizzati finora (deindicizzazione e contributi di solidarietà già bocciati dalla Corte Costituzionale). Un flusso annuo di risorse che potrebbe essere utilizzato subito per aiutare i lavoratori flessibili nei periodi di disoccupazione o aggredire nuove aree di povertà in un paese che stagna da decenni.

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