Il Sole 24 ore

«Pensioni, tre soluzioni per l’uscita anticipata»

Alberto Gentili
Economia/#economia#governo#pensioni

Da inizio anno Matteo Renzi gli ha ufficialmente affidato le chiavi della cabina di regia economica di palazzo Chigi. E Tommaso Nannicini (42 anni) da quel momento segue molti dossier, in contatto con i ministri Padoan, Poletti e Giannini. Per lavorare a fianco del premier Nannicini, professore di economia politica alla Bocconi, ha congelato per due anni l’imponente finanziamento dell’European research council (1,5 milioni di euro) dedicato a una ricerca sulla “mentalità politica”: “Political Mind: Explaining politicians and voters behavior”. Forse anche perché a palazzo Chigi, sull’argomento, c’è molto da apprendere.

Sottosegretario Nannicini, con Renzi vi siete dai come missione la crescita. Ma le cifre e le stime continuano a essere insoddisfacenti. Perché?
«Partirei dalla novità, dal cambio di paradigma rispetto alla Seconda Repubblica: prima l’obiettivo era il consolidamento dei conti pubblici e il vincolo era la crescita, vale a dire si faceva l’aggiustamento fiscale senza incidere troppo negativamente sulla crescita. Con il governo Renzi invece l’obiettivo è la crescita e il vincolo è il consolidamento dei conti pubblici, perché è chiaro che con il debito pubblico che abbiamo c’è comunque un vincolo di aggiustamento fiscale da tenere in considerazione: nessuno vuole tornare all’Italietta che crea, o si illude di creare, crescita con la spesa in disavanzo. L’aggiustamento però è più lento. Ed è più lento perché, finalmente, c’è un governo che sta facendo le riforme rinviate per due decenni che servono al Paese per tornare a crescere. In ogni caso, dopo la crisi che abbiamo attraversato e a causa del ritardo accumulato, queste riforme strutturali non possono creare crescita dal nulla e all’improvviso. Per questo adottiamo un mix: alle riforme associamo interventi e strumenti congiunturali che danno subito ossigeno a cittadini, lavoratori e imprese».

Ad esempio estendendo alle pensioni minime il bonus da 80 euro già quest’anno?
«Da qui alla fine della legislatura, entro il 2018, il governo interverrà per sostenere le pensioni più basse. E’ ancora presto però per indicare la formulazione tecnica.»

E’ confermato il taglio dell’Ires, l’imposta sui redditi delle imprese, nel 2017? Oppure verrà fatto slittare per sforbiciare un anno prima l’Irpef a favore del ceto medio?
«Il taglio dell’Ires è già scritto nella legge di stabilità, dunque scenderà dal 27,5% al 24 a partire dal primo gennaio del prossimo anno. Nel cronoprogramma del presidente Renzi la riduzione dell’Irpef è prevista nel 2018. Poi, ovviamente, se ci saranno margini per anticipare l’intervento noi saremo i primi a esserne contenti.»

C’è poi il capitolo della flessibilità in uscita per le pensioni. A quali ipotesi state lavorando?
«Non è facile far quadrare i conti pubblici con interventi che aumentano la flessibilità in uscita. Stiamo ragionando su come farlo. Il problema è che un intervento di questo tipo ha costi di cassa di circa 5-7 miliardi: lo Stato infatti deve anticipare la pensione a chi va prima, poi recupera una parte di questi soldi con una penalizzazione, ma per la finanza pubblica c’è un costo di cassa per i primi 10-15 anni molto elevato.»

Ma state esplorando strade meno “costose”. O no?
«L’unico modo per scendere sotto queste cifre è trovare una soluzione tecnica che non cambi nulla per il pensionato che chiede l’anticipo all’Inps. Ma in forza della quale una parte dell’anticipo viene intermediata dal sistema finanziario».

Può entrare nel dettaglio?
«Le faccio un esempio: ci sono tre categorie. La prima è quella delle persone che hanno una preferenza ad andare in pensione prima, ad esempio la nonna dipendente pubblica che vuole accudire i nipotini. La seconda è quella di chi ha necessità di andare in pensione prima, in quanto ha perso il lavoro e non ha ancora i requisiti d’uscita. La terza categoria sono i lavoratori che l’azienda vuole mandare in pensione prima per ristrutturare l’organico aziendale. Ebbene, si potrebbe provare a creare un mercato di anticipi pensionistici, che oggi non c’è, coinvolgendo governo, Inps, banche, assicurazioni. In questo schema la prima categoria può andare in pensione ma con una penalizzazione leggermente più forte. Alla seconda categoria la penalizzazione gliela paga in buona parte lo Stato e per la terza sono le aziende a coprire i costi dell’anticipo. In sintesi non sarebbe lo Stato a versare l’anticipo, ma si limiterebbe a coprire una parte dei costi con un’assicurazione a coprire il rischio morte. Al momento è solo una delle ipotesi allo studio, ma potrebbe essere quella che fa quadrare il cerchio tra la forte richiesta di flessibilità e la sostenibilità della finanza pubblica».

E’ d’accordo con il presidente dell’Inps Boeri che sostiene che senza flessibilità in uscita si blocca l’occupazione giovanile, si crea una lost generation?
«I due temi, francamente, non sono del tutto connessi. Il problema dei giovani è che si entra troppo tardi nel mondo del lavoro e si hanno esperienze troppo segmentate e saltuarie, tanto da impedire un adeguato risparmio previdenziale. Non penso però che la risposta alla disoccupazione giovanile siano i prepensionamenti, ma in quello che abbiamo cominciato a fare con il Jobs Act, cambiando il mercato del lavoro e rimettendo al centro il contratto a tempo indeterminato».

Però il Jobs Act, senza la forte decontribuzione del 2015, sta perdendo colpi. A febbraio il saldo dei contratti a tempo indeterminato ha fatto segnare un -33%.
«Questo era previsto e fisiologico. Gli obiettivi del Jobs Act era due. Il primo: allineare la creazione dei posti di lavoro alla ripresa dell’economia, facendo in modo che non appena ripartisse l’economia le imprese non avessero più paura ad assumere. Il secondo obiettivo era creare occupazione di qualità, stabile. Tutti e due gli obiettivi sono già stati raggiunti».

Restando sul fronte previdenziale è del tutto escluso un intervento sulle pensioni di reversibilità?
«Sì, è escluso. C’è una legge delega in materia di lotta alla povertà in cui il governo ha investito 1 miliardo di risorse aggiuntive per l’assistenza. Nessuno ha mai pensato di dare di meno, noi puntiamo a dare di più».