Ci voleva un giornale liberal-conservatore come l’Economist per smascherare l’illusione natalista: l’idea che lo Stato possa realmente portare le persone a fare più figli. Un’idea che serpeggia un po’ in tutti i paesi e fra tutte le parti politiche. Da Donald Trump, che promette un nuovo “baby boom”, a Emmanuel Macron, che si prefigge di “riarmare demograficamente” la Francia, passando per Giorgia Meloni, che ci fa capire che l’Italia ha bisogno di figli per pagare le pensioni e arginare la “sostituzione etnica”. Eppure, il senso comune dovrebbe ricordarci che nessuno può dire ad altre persone se fare figli, quando farli, e neppure perché. Ora è arrivato il settimanale inglese a mostrarci, dati alla mano, perché le politiche nataliste non funzionano.
Questa discussione evidenzia il cortocircuito di uno Stato che aiuta poco e male le persone e le famiglie ad andare incontro ai propri desideri, salvo poi chiedere loro di fare figli per la patria. Il cortocircuito è chiaro per tre motivi. Il primo risulta proprio dalla distanza tra il vivere personale, le decisioni sul proprio corpo, e la volontà delle istituzioni: sfidiamo a trovare di questi tempi qualcuno che abbia deciso di avere un figlio perché preoccupato dal futuro delle pensioni.
Il secondo motivo è ancora più semplice: le politiche economiche spostano di poco la fecondità. In Germania, per esempio, il numero medio di figli per donna, nonostante due riforme incisive del lavoro e dei congedi, è passato da 1,4 a 1,6, ancora lontano dall’obiettivo dei due figli che, in modo più o meno esplicito, si pongono le politiche nataliste per garantire il ricambio generazionale. Gli unici paesi europei in cui la fecondità è cresciuta marcatamente sono quelli dell’ex blocco sovietico, che però hanno beneficiato di una crescita molto forte. Ed è consueto che nei periodi di boom economico ci sia un’euforia riproduttiva.
Il terzo motivo ha più a che fare con la cultura che con la struttura. Ormai, a sorpresa, la fecondità si è abbassata anche nei paesi nordici, dove non mancano i servizi o il sostegno alle famiglie. Non sono incolpabili di questo calo né la crisi economica, né mutamenti nelle politiche per le famiglie, che casomai sono diventate più generose e accoglienti rispetto alla parità di genere. Alcuni studi mostrano che è stata la cultura a cambiare. In Finlandia, il paese nordico che ha visto scendere la fecondità più degli altri, il calo è in parte attribuibile all’aumento delle persone “childfree”, quelle che non vedono l’avere un figlio come parte del loro percorso di vita.
Stiamo andando verso una ridefinizione dei valori e un cambiamento dei desideri, che lasceranno meno posto alla genitorialità come obiettivo principale. In passato, non c’era lo spazio sociale per interrogarsi sul proprio desiderio di avere figli: era dato per scontato. Poi è arrivata la fase in cui il desiderio c’era, ma mancavano le condizioni per averne. Dal futuro potremmo aspettarci una fase in cui questo desiderio sarà messo sempre più in discussione. Anche in Italia s’inizia a vedere qualche sfumatura: sempre più giovani dichiarano che la vita senza figli può essere appagante. L’indagine bambini e ragazzi, appena rilasciata dall’Istat, ci dice che quasi il 30% di chi ha tra 11 e 19 anni dichiara di non volere figli o di essere indeciso.
Uno Stato che maschera con l’illusione natalista la spinta alla famiglia tradizionale è uno Stato che non coglie il cambiamento. Che fare, allora? Dobbiamo rassegnarci, come suggerisce l’Economist, a un passo indietro dello Stato? Per niente.
Serve un nuovo stato sociale, che metta al centro il benessere di tutte e di tutti. L’illusione natalista confonde il fine con i mezzi. Magari aumentare il benessere delle famiglie aumenterà la natalità, agendo su chi ha già quel desiderio frustrato dalla mancanza di servizi, dalla precarietà, da una cura sbilanciata tra uomini e donne, ma non è quello il fine. Congedi paritari, sevizi di sostegno alle famiglie e alla genitorialità, politiche del tempo che favoriscano un nuovo equilibrio tra vita e lavoro, il pieno riconoscimento della genitorialità nelle coppie omoaffettive: è questo il mix di politiche che serve per favorire benessere e parità. Altro che bonus per le madri con tanti figli. Dalla politica le persone si aspettano spazi di libertà. Non appelli a procreare per la patria.
* Autori di “Genitori alla pari. Tempo, lavoro, libertà” (Feltrinelli 2024)
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