Il Programma Regionale di Sviluppo 2003-2006 proposto dalla giunta regionale si articola intorno all’obiettivo strategico del “vivere bene in Toscana”. Obiettivo che, ovviamente, è legato a filo doppio con quello della “qualità del lavoro”. Qualità di un lavoro che corrisponda alle aspirazioni e alle potenzialità individuali. Qualità di un lavoro che dia ragionevoli garanzie di sicurezza. In Toscana, questo obiettivo finale implica due obiettivi intermedi: la formazione lungo tutto l’arco della vita; il riconoscimento di nuove tutele per le forme di lavoro flessibile che si sono diffuse negli ultimi anni. L’enfasi sulle “nuove” tutele non è retorica, ma vuole sottolineare l’esigenza di disegnare
qualsivoglia intervento sulla base di un’analisi aggiornata della realtà del lavoro.
La Toscana e il lavoro che cambia
Se si escludono aree di disagio che si annidano tra i disoccupati di lunga durata e tra quelli non più giovani e di difficile riqualificazione (aree da aggredire con determinazione), la disoccupazione toscana ha sempre più un carattere frizionale: con un tasso di disoccupazione sceso al 5,2% all’inizio del 2002 e probabilmente al di sotto del 5% alla fine dell’anno. Nella nostra regione, al pari di quanto è avvenuto nel resto del paese, l’ottima performance occupazionale degli ultimi anni è stata accompagnata dalla diffusione delle forme di lavoro flessibile (a tempo determinato, interinale, part-time, parasubordinato, a causa mista).
Nel decennio passato, una delle tendenze più vistose del mercato del lavoro italiano ha coinciso proprio con l’erosione dell’egemonia del lavoro standard, solitamente identificato con il lavoro subordinato a tempo indeterminato e a orario pieno. Questa tendenza è legata al progresso tecnologico e alle evoluzioni verificatesi nell’organizzazione del lavoro e nella struttura dei mercati, ma anche a interventi legislativi come il Pacchetto Treu del 1997 (sulla tendenza generale in atto nei paesi industrializzati si veda il rapporto OECD del 1999, “Employment Protection and Labour Market Performance”). La Toscana non è certo rimasta al di fuori di questa tendenza: l’area del lavoro atipico si attesta intorno a un livello minimo di 220-230 mila lavoratori coinvolti (si vedano le stime del rapporto 2000 della Regione Toscana, “I lavori atipici”).
Che valutazione si può azzardare su una tendenza di tale portata? Chiaramente, essa è andata incontro alle crescenti esigenze di flessibilità produttiva e organizzativa delle imprese. È più controverso, invece, il giudizio dal lato dei lavoratori: aumento delle opportunità o della precarietà? L’evidenza empirica su questo punto non è ancora sufficientemente solida. E probabilmente, più che una domanda di carattere generale, meritano di essere approfonditi quesiti specifici: quali lavoratori- dato il loro stock di capitale umano e le condizioni di partenza- sono in grado di sfruttare al meglio la realtà dei nuovi lavori? E quali, al contrario, sono destinati a sbattere la testa contro un mercato sempre più volatile ed a loro ostile? Si prenda il caso del lavoro temporaneo. È possibile che alcuni individui decidano di ricorre a questa forma contrattuale per una esigenza personale di flessibilità. Molti altri, tuttavia, lo fanno solo nella speranza di accedere un giorno a un impiego stabile. Per queste persone, la domanda cruciale è se il lavoro temporaneo rappresenti un canale d’ingresso in quello a tempo indeterminato, o se viceversa rischi di trasformarsi in una trappola di precariato permanente. La teoria economica suggerisce due motivi per cui svolgere un impiego temporaneo può aumentare la probabilità di trovare un’occupazione permanente: 1) un effetto diretto di “segnalazione” (signaling), in base al quale i lavoratori con più alta produttività si auto-selezionano attraverso la loro disponibilità ad essere osservati in mansioni provvisorie; 2) un effetto indiretto connesso con l’acquisizione di esperienze lavorative, informazioni sui posti vacanti e contatti sociali. Un primo sguardo ai dati aggregati sembra confermare l’esistenza di un effetto positivo di questo tipo: dopo l’introduzione del Pacchetto Treu (che ha liberalizzato il lavoro interinale ed è intervenuto sui contratti a tempo determinato), gran parte della crescita occupazionale italiana ha coinciso con l’incremento del lavoro atipico. A partire dall’inizio del 2001, tuttavia, sono aumentati soprattutto i posti di lavoro stabili (in Toscana come in Italia). È probabile, quindi, che molti rapporti temporanei abbiano finito per stabilizzarsi in contratti a tempo indeterminato. Detto questo, rimane l’esigenza di tutelare alcuni soggetti deboli, temperando gli effetti negativi del fenomeno che gli economisti chiamano “flessibilità al margine”, in cui tutti i costi della flessibilità vengono sopportati da una fascia di lavoratori poco qualificati e meno attrezzati a competere sul mercato.
Nuovi lavori, nuovi diritti
È innegabile che sono nate nuove domande di sicurezza all’interno del mondo del lavoro. Che risposte politiche si possono dare? Si deve prendere atto che le politiche del lavoro (per la qualità del lavoro) dovranno muoversi in un contesto in cui la frattura tra chi è meritevole di tutela e chi può farcela da solo, non coincide più con la divisione tra chi sta fuori e chi sta dentro al mercato del lavoro. Se una fetta crescente di lavoratori non usufruisce più della protezione forte del posto di lavoro in azienda, i meritevoli di tutela cui l’operatore pubblico deve rivolgere la propria attenzione non si annidano solo tra i disoccupati, ma si trovano anche all’interno del mercato del lavoro.
È proprio partendo da questa necessità- riconoscere “nuovi diritti” per i “nuovi lavori”- che l’Ulivo ha presentato una proposta legislativa per una “Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori”. Questa proposta riconosce come un fattore positivo la pluralità di rapporti contrattuali esistenti, ma si sforza di ricondurli a un quadro coerente di tutele. Attraverso tre strumenti: 1) uno schema di “diritti del lavoro” che garantisca una rete minima di diritti per tutti, per poi allargarsi gradualmente verso normative differenziate; 2) un insieme di misure che mirino a far funzionare concretamente gli strumenti di tutela nel mercato (garantendo a tutti i lavoratori i diritti alla formazione mirata e permanente, all’informazione e alla mobilità); 3) una riforma del sistema degli ammortizzatori sociali che abbracci anche i giovani dei nuovi lavori, attraverso un aumento delle risorse pubbliche destinate alla copertura del rischio disoccupazione.
Anche in Toscana, il governo regionale di centrosinistra ha iniziato a muoversi con determinazione in questa direzione. In particolare, l’assessorato alle politiche del lavoro ha rivolto i propri sforzi verso due categorie particolari di lavoratori atipici: gli apprendisti e i parasubordinati (il popolo delle collaborazioni coordinate e continuative). Si pensi alle risorse investite per la formazione generale esterna degli apprendisti. E si pensi all’accordo siglato con Cgil, Cisl e Uil sulla tutela dei parasubordinati, attraverso la realizzazione di “servizi specifici integrati nel sistema dei servizi all’impiego” e attraverso la promozione di “strutture mutualistiche finalizzate ad attivare forme di agevolazione dell’accesso al credito e di sostegno in caso di mancato guadagno per malattia o infortunio”. Inoltre, dopo l’approvazione della legge regionale n.162/2002 (il testo unico in materia di educazione, istruzione, formazione, orientamento e lavoro), si apre la partita del “piano di indirizzo generale integrato” dal quale potranno arrivare indicazioni importanti per i Centri per l’impiego e gli altri soggetti del sistema integrato, in merito ai destinatari, alle strategie e alle politiche di intervento. È auspicabile che in quella sede vengano definiti obiettivi e strumenti per andare incontro alle esigenze di tutta l’area del lavoro flessibile. In conclusione, o che si guardi alla Carta dei diritti proposta dall’Ulivo, o che si guardi agli interventi della giunta di centrosinistra in Toscana, il messaggio è lo stesso. Il mercato del lavoro è cambiato e i soggetti meritevoli di tutela attiva vanno cercati anche all’interno del mondo del lavoro. Servono nuovi diritti (o meglio, nuovi servizi) per i nuovi lavori. Il cantiere è aperto.