Tommaso Nannicini, 43 anni, economista bocconiano di Montevarchi, vive da sempre l’impegno anche a ‘sporcarsi le mani’, ovvero a tradurre in politiche concrete il suo pensiero, il che lo distingue dai suoi colleghi più amanti delle sole teorie economiche (che, nel suo caso, sono quelle di una sinistra liberal-riformista). Anche per questo Renzi lo ha voluto a Palazzo Chigi da sottosegretario, come ‘primo filtro’ (in collaborazione con il Tesoro) delle azioni che il governo intende attuare. In questo ruolo ha condotto la recente ‘nuova concertazione’ (o quel che sia) coi sindacati sulle pensioni. In questa settimana di relativo riposo, prima di tuffarsi a 360 gradi nella definizione della manovra 2017, riflette con Avvenire sulle ‘mosse’ che ha in mente, in particolare per i giovani italiani.
Una delle principali obiezioni mosse al verbale governo-sindacati è il fatto che ancora una volta sono stati destinati fondi alle esigenze soprattutto di pensionati e pensionandi, sacrificando quelle dei più giovani
Mi sembra un commento con le lancette dell’orologio indietro di qualche anno. Per l’esigenza di far cassa, in passato, nelle tasche dei pensionati si sono messe soprattutto le mani, adesso si mette qualche risorsa in più. Non c’è nessun passo indietro rispetto alla sostenibilità finanziaria del sistema, che implica un corretto rapporto tra generazioni. Semplicemente, si prende atto che i conti in ordine non escludono interventi di equità sociale a favore di lavoratori in condizioni di difficoltà e di pensionati con redditi bassi. Per i giovani ci sono le misure a favore della crescita, dell’occupazione stabile e l’avvio di un percorso serio di revisione del metodo di calcolo contributivo.
Quella che nel verbale è chiamata “fase due” Può dettagliare meglio quando scatterà e cosa conterrà? Si parla di una pensione di garanzia…
Fase due non significa rimandare alle calende greche gli interventi per i giovani, ma partire pragmaticamente dai problemi più pressanti per poi aprire un confronto serio su una riforma strutturale del contributivo. Sta lì la parte più innovativa del verbale governo-sindacati, con l’idea di unire al taglio del cuneo contributivo e al rilancio della previdenza complementare anche una nuova pensione contributiva di garanzia. Uno zoccolo duro legato agli anni di contributi e all’età di uscita per garantire l’adeguatezza delle pensioni basse e per evitare che i giovani di oggi diventino i poveri di dopodomani
Veniamo all’Ape? Perché un lavoratore dovrebbe trovare conveniente questo strumento?
L’Ape volontaria sarà un’opportunità in più per chi vuole gestire in maniera flessibile la fase di passaggio dal lavoro alla pensione. Come per altri strumenti finanziari, ci saranno agevolazioni fiscali sulla componente assicurativa e sulla spesa per interessi. Alla fine i costi saranno più bassi di quelli che si leggono in questi giorni, ma è presto per fare numeri. Poi ci saranno l’Ape sociale, dove lo Stato si farà carico di garantire un reddito ponte minimo per chi vi accede in condizioni di bisogno, e l’Ape aziendale, dove saranno il datore di lavoro o un fondo bilaterale a farsi carico dei costi.
Perché nel campo previdenziale si continua a considerare come parametro il reddito personale più che quello familiare o la situazione Isee?
Perché il nostro sistema fiscale si basa sul reddito personale e non su quello familiare. Chi critica gli 80 euro per i lavoratori dipendenti o la 14esima per i pensionati perché può prenderla anche la moglie di un ricco professionista, trascura questo elemento di fondo. Ci tengo a precisare che la 14esima è un intervento sui redditi da pensione, legati ai contributi, non una misura assistenziale. L’equità è una cosa seria. Troppo seria per farla a colpi di Isee o di editoriali della domenica.
Il mondo cattolico preme da sempre per l’introduzione del Fattore famiglia. Perché è così difficile far passare, anche sul piano culturale, uno strumento che visto il grave quadro demografico – sarebbe una chiave valida anche per la ripresa economica?
E’ un tema importante, ma il luogo giusto dove parlarne è la riforma strutturale dell’Irpef, che il presidente Renzi ha sempre annunciato per il 2018. L’ambizione del governo è quella di disegnare una politica economica dove, passo dopo passo, manovra economica dopo manovra, i nodi strutturali che il nostro Paese ha aggrovigliato vengono sciolti. Non accontentiamoci di interventi estemporanei tanto per mettere qualche bandierina, per dire che abbiamo fatto qualcosa per la “famiglia” o altro. Servono riforme ambiziose, e non puoi farle tutte insieme. Ma alla fine della legislatura, tutti i pezzi del puzzle andranno al loro posto.
Sia, Asdi, assegni al nucleo familiare, assegno per le famiglie con 3 figli minori, assegno di maternità… Sono strumenti tutti validi o si rischia soprattutto di fare confusione e di disperdere risorse? Tanto più che spesso questi strumenti non sono nemmeno conosciuti da chi pure ne avrebbe diritto e per questo non tutti i fondi vengono spesi.
Il nostro sistema assistenziale soffre di una carenza di risorse e di una frammentazione delle misure. Con le risorse stanziate nella scorsa Stabilità e con quelle della prossima Legge di bilancio stiamo aggredendo il primo deficit. Con la legge delega che sta riprendendo il suo cammino al Senato, dobbiamo aggredire il secondo. Non si tratta di tagliare misure esistenti per crearne di nuove in una sorta di “guerra tra poveri” ma di ridurre le iniquità insite in un sistema frammentato, in un labirinto dove troppi finiscono per perdersi. Il nuovo reddito di inclusione deve essere il punto di accesso unico al sistema di contrasto alla povertà assoluta, all’interno del quale bisogni diversi riceveranno poi risposte diverse.
Si parla di Student act. Di cosa si tratta. C’è uno stanziamento previsto?
Stiamo lavorando a un pacchetto complessivo che, per dirla con la nostra Costituzione, dia risposte concrete ai “capaci e meritevoli anche se privi di mezzi”. Ci sarà un intervento sulla no tax area in tutte le università, in modo che per chi vive in famiglie con un Isee basso (al di là del merito) le porte degli studi universitari siano sempre aperte e accompagnate da attività di tutoraggio. Poi ci sarà un rafforzamento del diritto allo studio universitario tradizionale, per chi è in condizioni di bisogno e mantiene certi risultati negli studi. E infine un intervento pilota sempre per gli studenti in famiglie con Isee basso, ma concentrando gli sforzi sui più meritevoli, lanciando in collaborazione con le scuole uno scouting di chi mostra talenti particolari anche se fronteggia condizioni di difficoltà economica, in modo da pagargli tutto nel corso degli studi universitari (tasse, vitto, alloggio, stipendio). Merito e bisogno.
Capitolo lotta alla povertà. Il 2 settembre è partita la Sia e in Senato è in discussione la legge delega. Quali sono le altre iniziative del piano anti-povertà? Quanti soldi saranno stanziati in tutto?
I due percorsi devono procedere in parallelo. La sperimentazione del Sia su tutto il territorio nazionale deve iniziare a dare risultati concreti. E il percorso della delega deve concludersi nel 2017 con un nuovo strumento, il reddito di inclusione, che ampli e consolidi intorno a un’architrave unica la strategia nazionale di contrasto alla povertà assoluta.
A che punto è il fondo attivato con le Fondazioni bancarie per combattere la povertà educativa?
Siamo pronti con i primi bandi, rivolti all’età pre-scolare e a quella adolescenziale. Presto ci saranno risorse importanti, assegnate a progetti mirati e innovativi, per contrastare la madre di tutte le diseguaglianze. Terzo settore, scuole, enti locali guideranno questa sfida. Tempo fa, ho visitato un punto luce di “Save The Children” e in un laboratorio di disegno sui diritti, mi ha colpito che una bambina o un bambino avevano disegnato “il diritto a studiare tanto”. Dobbiamo dare le ali a questi sogni e a queste ambizioni.