Linkiesta

Riduciamo il cuneo fiscale, senza stangate patrimoniali

Tommaso Nannicini, Filippo Taddei
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Gli Italiani, così come gli investitori internazionali, temono l’incertezza piuttosto che l’instabilità politica. Incassata la fiducia da parte del governo Letta, si è ridotta l’incertezza sulla Legge di Stabilità, la vecchia Finanziaria. Oggi possiamo essere certi che sarà approvata nei tempi ordinari. Rimane però un’incertezza importante, quella sulle politiche. Gli italiani non sanno quante tasse pagheranno. E non sono neppure certi di come si chiameranno.

 

La giostra dell’Imu sulla prima casa è ripresa come se nulla fosse. La sua abolizione porterà a una riduzione di entrate per lo Stato stimata dal Ministero dell’Economia e Finanze intorno ai 4 miliardi di gettito. Su un totale di entrate finali delle amministrazioni pubbliche intorno ai 750 miliardi, sembra davvero una cifra trascurabile. Possiamo anche abolirla e parlare d’altro. Ci sono però due aspetti che non possiamo dimenticare. Il primo, come ci ricorda il Fondo Monetario Internazionale, è che la sua abolizione dovrà essere compensata con una nuova tassa o tagli corrispondenti. Il secondo, strettamente collegato, è che dobbiamo capire quello a cui stiamo rinunciando.

Quando discutiamo di tassazione, la basi imponibili sono il reddito, il consumo e la ricchezza. Assumendo che incidere su ognuna di esse implichi distorsioni, qual è la priorità nell’Italia di oggi? Ricordiamoci che paese siamo: abbiamo un debito pubblico superiore al 130% del Pil e la più bassa crescita media del reddito pro capite tra tutti i paesi dell’Ocse nell’ultimo decennio. Siamo un paese che brilla in un’unica classifica internazionale: quella della ricchezza delle famiglie. La parte preponderante di questa ricchezza, circa 6.000 miliardi su 8.500 di ricchezza netta stimata, è costituita da patrimonio immobiliare.

L’obiettivo – perseguito solo a metà dal governo Monti – dovrebbe essere quello di spostare il peso della pressione fiscale da chi produce ricchezza verso chi ha accumulato ricchezza in passato, magari beneficiando anche del dissesto dei conti pubblici nel corso della Prima Repubblica. Non si tratta di invocare stangate patrimoniali dagli effetti tra il dannoso e il dubbioso, o rifiutare che il riequilibrio del sistema fiscale avvenga attraverso dismissioni del patrimonio pubblico e riduzioni di spesa. Si tratta di non sprecare risorse per mantenere bassa la tassazione sulla ricchezza immobiliare.

Tutti i confronti internazionali pre-governo Monti indicavano un solo elemento: esclusi alcuni casi a sé, come la Germania, la tassazione degli immobili è storicamente bassa in Italia mentre la tassazione su lavoro e capitale produttivo, secondo Eurostat, rimane più alta di Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna e Stati Uniti. Al massimo, erano (e sono) alte le tasse sulle transazioni di immobili, non sul loro possesso. Il governo Monti ha operato metà del riequilibrio necessario (si veda il 2012 nel grafico), ma non la metà più importante: ridurre le tasse sul lavoro. Oggi si doveva ripartire solo da quello.

Inoltre, l’Imu aveva iniziato il riequilibrio del nostro sistema fiscale con una maggiore progressività rispetto all’Ici, come si evince da due semplici dati. Il gettito Ici sulla prima casa (circa 3,8 miliardi) era molto vicino a quello dell’Imu: la differenza tra i due prelievi si annidava nella tassazione degli immobili non principali (seconde case, immobili strumentali, etc.), che si attestava intorno agli 8 miliardi con l’Ici (triennio 2008-10) e intorno ai 18 miliardi con l’Imu. Come mostrano le stime del Dipartimento delle Finanze sui versamenti Imu 2012, all’aumentare del decile di rendita catastale (pur con le note distorsioni di questa misura), l’incidenza dell’Imu diventa via via superiore a quella dell’Ici.

È davvero difficile spiegare come l’abolizione dell’Imu possa passare per una priorità di politica economica più importante della riduzione dell’Irpef o dell’Irap. Il Pdl, tuttavia, ne ha fatto una questione dirimente, cavalcando la retorica del Paese di proprietari (immobiliari). Questa retorica contrasta con una considerazione banale: oltre a proprietari, gli italiani sono lavoratori. Per quanti proprietari immobiliari ci siano, ci sono comunque molti più lavoratori e pensionati. Le persone non sono solo proprietarie delle proprie case, ma sono soprattutto proprietarie del proprio tempo e del proprio lavoro.

Dopo aver cercato di nascondere l’imbarazzo per aver accettato una posizione difficile da difendere, oggi il Pd afferma che l’Imu tornerà sotto nuove spoglie. Per carità, le larghe intese hanno le loro logiche, ma il Paese ha una logica più forte. Se non hai i numeri per governare da solo, puoi accettare qualche compromesso, a patto di renderlo esplicito. Qual è il beneficio di questo compromesso per il Pd ma, soprattutto, qual è il beneficio per il Paese? In politica puoi farti dettare l’agenda, ma non dovresti mai farti dettare le idee.

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