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Riforma della giustizia: un’opposizione (pregiudiziale) ad castam

Tommaso Nannicini
Democrazia/#riforme

Tra i partiti d’opposizione, ce n’è uno che ha già le idee chiare in tema di giustizia: Repubblica. La linea del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari sulle proposte Alfano di riforma costituzionale è stata affidata al vicedirettore Massimo Giannini, con l’editoriale dell’11 marzo dal titolo “una legge ad castam“.

La linea è chiara. Quella proposta dal governo, secondo Giannini, è “una contro-riforma incostituzionale”. Viene da chiedersi: contro-riforma rispetto a quale riforma? Non si sa. E incostituzionale per quale motivo? Anche questo sfugge, visto che la riforma si propone appunto di cambiare la Costituzione, all’interno delle procedure in essa fissate. Per chi non avesse afferrato il concetto, Giannini lo ribadisce: trattasi di “una riforma ad castam, con la quale un’intera classe politica pretende di cucirsi addosso un salvacondotto collettivo”. Perché tirare in ballo l’intera classe politica quando la proposta è del governo? Qui l’intento è chiaro. Si tratta di un avvertimento preventivo a chiunque accarezzasse la malsana idea di dialogare con la maggioranza su questi temi: per loro è già pronta l’accusa infamante di “inciucio” con Berlusconi.

All’interno di ben 6.852 caratteri (spazi inclusi) dedicati al tema della giustizia, Giannini non usa mai i termini “separazione delle carriere” e “responsabilità civile dei magistrati”. Anche qui, il motivo sembra chiaro. Giannini può essere un po’ di parte, ma è sicuramente intelligente. E sa bene che su queste due proposte la maggioranza degli italiani (e magari anche dei lettori del suo giornale?) è probabilmente a favore, come ha avuto modo di dire – in tema di responsabilità civile – quando gli è stato chiesto con il referendum del 1987 promosso da radicali, socialisti e liberali.

Insomma: quella di Repubblica appare come un’opposizione pregiudiziale e “ad castam”, in difesa della Casta dei magistrati e della Casta di quanti hanno costruito carriere politiche, giornalistiche o nel mondo dello spettacolo grazie ai luoghi comuni dell’anti-politica e del giustizialismo. L’obiettivo (politico) è altrettanto chiaro: bisogna sparare alto, con l’arma di distruzione di massa fornita da un antiberlusconismo puro e duro, senza se e senza ma. E bisogna farlo per fermare in anticipo quanti pensano di entrare nel merito della questione, magari rilanciando una piattaforma riformista come quella delineata dalla bozza Boato in Bicamerale o da un recente intervento di Andrea Orlando, responsabile giustizia del Pd, sulFoglio.

Per carità, Berlusconi presenta questa riforma fuori tempo massimo e per interessi tattici. E su alcune proposte un supplemento di approfondimento (e anche di critica) è d’obbligo. Superare la finzione dell’obbligatorietà dell’azione penale è sacrosanto, ma si dovrebbe ragionare fin da subito su come togliere la fissazione delle priorità ai mutevoli capricci delle maggioranze parlamentari. E la volontà di togliere rilevanza di soggetto costituzionale alla magistratura rinominando il titolo IV può aprire la strada a conseguenze su cui è bene vigilare. Ciò non toglie che un partito che continua a dirsi riformista (ma che raramente dice qualcosa di riformista) dovrebbe smarcarsi dalle trappole incrociate poste dal governo e dai professionisti dell’antiberlusconismo. Entrando nel merito delle proposte Alfano. E dicendo cosa pensa in tema di separazione delle carriere e responsabilità civile dei magistrati. Cosa pensa lui, il suddetto partito riformista, al di là di qualsiasi manovra di piccolo cabotaggio (per mettere in difficoltà il governo o per non farsi rosicchiare consensi da Di Pietro) e avendo a mente solo quello che ritiene essere l’interesse del paese.

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