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Riforma elettorale: il momento è questo

Tommaso Nannicini, Vincenzo Galasso
Democrazia/#legge elettorale

Obiettivo di una nuova legge elettorale dovrebbe essere quello di consentire agli elettori di scegliere i propri rappresentanti. Rispetto alle liste bloccate, il ritorno ai collegi uninominali, con doppio turno, sarebbe un netto miglioramento. Ma non basta. È necessario ridisegnare le circoscrizioni per aumentare la competizione. E forse è il momento giusto per vincere le ovvie resistenze dei partiti, per le difficoltà in cui tutti si dibattono. E i cittadini dovrebbero mobilitarsi per riappropriarsi del proprio diritto di scelta su parlamentari e governi.

La lista delle similitudini tra l’attuale crisi politica e quella dei primi anni Novanta è impressionante: scandali che investono i politici e diffuso malcontento dei cittadini; governi tecnici sotto l’egida del Presidente della Repubblica; crisi finanziaria (valutaria allora, del debito sovrano oggi); smottamenti elettorali che accompagnano o prefigurano la nascita di nuovi soggetti.

DAGLI ANNI NOVANTA A OGGI
Negli anni Novanta, tuttavia, ci fu anche un protagonismo della società civile che scaturì nei referendum elettorali, nell’introduzione dei collegi uninominali e in alcune innovazioni istituzionali di successo, come l’elezione diretta dei sindaci. Oggi, sembra essersi persa traccia di questa spinta a migliorare la qualità delle istituzioni – fatte salve più di un milione di firme raccolte per un referendum poi bocciato dalla Corte costituzionale.

È comprensibile. La crisi economica sposta gli interessi dei cittadini altrove. Ma è necessario che il dibattito pubblico torni a occuparsi di riforme istituzionali. L’andamento dello “spread” che minaccia quotidianamente l’economia italiana dipende molto dalla capacità di dotarci di un assetto politico-istituzionale efficiente e di rappresentanti politici competenti, veramente scelti dai cittadini, attraverso un processo che favorisca una reciproca assunzione di responsabilità.
La proposta di Angelino Alfano e Silvio Berlusconi di adattare all’Italia il sistema francese, composto di regime elettorale maggioritario a doppio turno e semipresidenzialismo, va nella direzione giusta. Fare il processo alle intenzioni dei promotori non serve. Si tratta di un bluff? È il caso di andare a vedere, anzi di rilanciare. Ecco due proposte precise.

POTERE DI SCELTA AGLI ELETTORI
La prima è un sistema elettorale a doppio turno di collegio per l’elezione dei parlamentari con una soglia alta per l’accesso al secondo turno. A detta di molti, il bipolarismo della Seconda Repubblica ha sofferto di due mali principali: la rissosità di poli prigionieri delle estreme; la frammentazione di coalizioni governative che tentavano di conciliare l’inconciliabile. Il doppio turno favorirebbe l’emergere di un bipolarismo mite capace di ridurre entrambi. Gli studi empirici sui comuni con poco più e poco meno di 15mila abitanti, soglia alla quale il metodo per l’elezione del sindaco cambia repentinamente da turno unico a doppio turno, mostrano che il doppio turno riduce l’estremismo dell’offerta politica e favorisce la moderazione delle politiche di governo, riducendo per esempio la volatilità della pressione fiscale. (1) Lo scontro tra opzioni distinte, all’interno sia del centrodestra sia del centrosinistra, favorirebbe l’emergere di un bipolarismo basato su proposte di governo omogenee e in costante competizione tra loro.

Tuttavia, il principale obiettivo della nuova legge elettorale, anche alla luce degli scandali emersi in questi mesi, dovrebbe essere quello di consentire agli elettori di scegliere i propri rappresentanti. Rispetto alle liste bloccate della legge attuale, il ritorno ai collegi uninominali aumenterebbe di per sé il potere di scelta. Ma il diavolo si nasconde nei dettagli. Con il maggioritario, le segreterie dei partiti possono “nominare” un parlamentare con la stessa facilità delle liste bloccate: basta candidarlo in un collegio uninominale sicuro, il cui esito è prevedibile prima del voto. Il potere di scelta dei cittadini dipende in maniera decisiva dalla contestabilità dei collegi. Da questa semplice constatazione nasce una seconda proposta: disegnare i collegi uninominali per renderli “competitivi”, cioè dall’esito incerto. Ciò migliorerebbe la qualità della classe politica.
Gli studi empirici sui parlamentari eletti ai tempi del Mattarellum, infatti, mostrano come i candidati migliori – cioè più istruiti, con maggiori esperienze amministrative o successi professionali – venivano eletti nei collegi più competitivi, mentre i funzionari di partito, privi di altre esperienze amministrative, erano piazzati nei collegi sicuri. (2) La differenza si continua a percepire anche in Parlamento, poiché l’assenteismo parlamentare tra gli eletti nei collegi sicuri è ben del 56 per cento più alto rispetto agli eletti nei collegi competitivi, segno che lo stimolo degli elettori è cruciale. Insomma: oggi scopriamo di politici che ricevevano favori “a loro insaputa”, ma con i collegi sicuri (e le liste bloccate) molti venivano eletti “a loro insaputa”, senza sforzo né meriti, ma soprattutto senza possibilità di sanzione da parte degli elettori.
I paesi con una lunga tradizione di elezioni maggioritarie conoscono bene l’importanza della contestabilità dei collegi elettorali. Non a caso negli Stati Uniti esistono consulenti pagati a peso d’oro per aiutare repubblicani e democratici a ridisegnare i collegi in modo da ridurre la competizione e aumentare le loro chance elettorali. In Italia, si potrebbe provare a fare il contrario: disegnare i collegi per massimizzare la competizione elettorale, affidando il compito a una commissione indipendente. L’obiettivo, infatti, è tecnicamente fattibile e verificabile: si tratta di individuare un algoritmo matematico che, sulla base delle serie storiche dei risultati elettorali, renda i collegi il più possibile contestabili, bilanciando gli “zoccoli duri” di centrodestra e centrosinistra. (3)

PERCHÉ È IL MOMENTO GIUSTO
Sappiamo essere cinici e non sottovalutiamo i vincoli di fattibilità politica: proposte del genere non avranno mai l’appoggio dei politici chiamati a farle passare. Ma, altrettanto cinicamente, non sottovalutiamo l’eccezionalità della fase che stiamo vivendo.

Primo: gli smottamenti elettorali in corso mettono i partiti attuali dietro un velo di ignoranza su chi potrà avvantaggiarsi della nuova legge elettorale. Il Pdl ha avanzato una proposta (il doppio turno) che ha sempre visto come il fumo negli occhi. Anche Pier Ferdinando Casini, adesso che i rapporti di forza tra i partiti esistenti stanno franando, ha fatto una timida apertura in quella direzione. E il modello francese permetterebbe uno scambio tra due elementi che sono sempre stati, rispettivamente, una bandiera del centrosinistra (il doppio turno) e del centrodestra (il semipresidenzialismo).
Secondo: visto che il ridisegno dei collegi richiederebbe tempo e potrebbe non riguardare le prossime elezioni, la nostra proposta fornirebbe ai politici un’opzione per farsi belli agli occhi degli elettori senza subirne i costi nell’immediato.
Terzo (ma non di minore importanza): lo stimolo principale dovrebbe arrivare dall’opinione pubblica e dai mezzi di informazione. Nei primi anni Novanta la spinta della società civile portò ai referendum e alle riforme elettorali. È tempo di riprovarci. È intorno a obiettivi concreti, piuttosto che a generici sfoghi antipolitica, che i cittadini dovrebbero mobilitarsi per riappropriarsi del proprio diritto di scegliere governi e parlamentari. Solo così si potrà superare l’alibi di chi dice che non c’è tempo per fare riforme incisive. C’è sempre tempo per evitare il baratro, finché non ci saremo finiti dentro.

(1) Si veda: Bordignon M., Nannicini T. e Tabellini G. (2012), “Moderating Political Extremism: Single Round vs. Runoff Elections under Plurality Rule“.
(2) Si veda: Galasso V. e Nannicini T. (2011), “Competing on Good Politicians“, American Political Science Review, 105(1), 79-99.
(3) Una proposta per molti aspetti simile è stata avanzata per gli Usa dal celebre politologo Morris Fiorina. Si veda: Fiorina M.P. (con Abrams S.J. e Pope J.C.), “Culture War? The Myth of a Polarized America“, Longman, 2004.

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