Il Messaggero

Rischiamo la bomba sociale a gennaio. Ora è il momento di riformare il welfare.

Luca Cifoni
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«Rischiamo una bomba sociale a gennaio prolungando un blocco dei licenziamenti generalizzato. E rischiamo anche di sprecare tutte le risorse disponibili in aiuti a pioggia, per poi non averne più da impiegare in un riforma del welfare, che in questo momento è fondamentale». Tommaso Nannincini, economista e senatore del Pd, è tra coloro che sono preoccupati per la possibile estensione fino a fine anno del divieto di licenziare, che scade tra una decina di giorni.

L’emergenza non è ancora finita e molto imprese sono in stato di profonda difficoltà, perché è sbagliato dare una tutela ai lavoratori?

«Una misura di questo tipo era comprensibile durante la fase del lockdown, quando molte aziende erano effettivamente ferme. Però nonostante il divieto in vigore e nonostante il sostanzioso ricorso alla cassa integrazione, abbiamo pagato un costo molto alto, con 500 mila occupati in meno, persone in carne e ossa che non hanno un lavoro e che invece l’avrebbero avuto senza la crisi».

Chi sono queste persone?

«Lavoratori autonomi, dipendenti con un contratto temporaneo, precari. Ma anche giovani che avrebbero potuto trovare lavoro ma non ce l’hanno fatta per via dell’emergenza. Non li chiamiamo licenziamenti perché in senso stretto non lo sono, ma il concetto è sempre quello: qualcuno avrebbe potuto essere occupato e ora non lo è».

Però si potrebbe obiettare: il fatto che loro siano senza lavoro non è un buon motivo per farlo perdere anche ad altri.

«Non si tratta di far perdere il lavoro a nessuno ma di riuscire a crearlo. Se si congela tutto, l’effetto sarà che nessuno assume. Dobbiamo fare come in altri Paesi europei, che non hanno imposto un blocco assoluto. Serve gradualità, non dico di passare dal divieto al “liberi tutti”. Il licenziamento deve essere precluso a chi usa la cassa integrazione o aiuti alla liquidità. In quel caso è giusto, perché le aziende ricevono soldi dallo Stato».

Invece cosa accadrebbe a suo avviso con un blocco ancora prolungato fino a fine anno?

«C’è una pentola a pressione che poi scoppierà. Perché dopo Natale arriva la Befana. Rischiamo di creare una bomba sociale nel 2021, quando non ci saranno più soldi da spendere perché li avremo consumati tutti. Perché, tra l’altro, per far accettare alle aziende il blocco dei licenziamenti bisogna offrire aiuti a pioggia, prima sotto forma di cassa integrazione anche per chi non ne aveva bisogno, ora con una decontribuzione sganciata dall’assunzione di nuovi occupati. La decontribuzione andrebbe fatta soprattutto per chi assume giovani e donne».

Invece come dovrebbero essere usati quei soldi?

«Riformando il welfare per offrire una protezione forte a chi non ha lavoro. Il momento per farlo è adesso. Sto parlando di rafforzare la Naspi, dando un salario di formazione, un reddito vero: cosa che naturalmente sarebbe costosa. E di realizzare politiche personalizzate per la formazione, che al momento non esistono».

Il tema non è nuovo ed era stato affrontato anche nella scorsa legislatura, quando lei ha avuto anche incarichi di governo. Cosa è mancato?

«Potrei addentrarmi in spiegazioni molto lunghe, ma essenzialmente sono mancate due cose. Innanzitutto non abbiamo messo abbastanza soldi. Il disegno c’era ma non siamo riusciti a finanziarlo a sufficienza. E le riforme a costo zero non esistono. Poi resta da risolvere il problema del rapporto tra Stato e Regioni. Non è possibile che quando si parla di diritti, questi siano declinati in modo diverso da una Regione all’altra. Come per la salute, cosa che ormai è sotto gli occhi di tutti. Questa dovrebbe essere la battaglia di un partito di sinistra: lavoro, formazione, salute, con diritti uguali e forti in tutto il territorio nazionale».